venerdì 31 agosto 2012

Esperimento 1


Cari amici,
nuovo racconto sotto l'ombrellone! Per aggiungere un pò di suspance e mistero all'estate che sta finendo.
Buona lettura ;-)

Il respiro era agitato.

La pupilla dilatata.

Il battito del cuore rimbombava come un tamburo nel silenzio della sua testa.

La ragazza era nella stanza, sdraiata sul letto con le braccia legate a cinghie imbottite e una flebo infilata nella vena sinistra.
Tentava di liberarsi e fuggire.
Non sapeva da quanto tempo era rinchiusa li. Non sapeva che cosa le stavano facendo. Sapeva solo che un giorno era felice della sua vita e un attimo dopo il buio l’aveva avvolta come una coperta.
Le cinghie erano dannatamente strette. Nonostante le tirasse con tutta la forza che aveva, non c’era verso di smuoverle dal pesante anello di catena a cui erano fermate, anello che era saldato alla ringhiera del letto.
Entrò un uomo in camice bianco. Sembrava giovane, ma nella semioscurità della stanza non si distinguevano i suoi contorni.
La ragazza lo guardò dirigersi verso il sacco della flebo e al suo deflussore con una siringa in mano.
“che cos’è?” pigolò con la voce roca
“non ti ucciderà, se è questo che vuoi sapere”
“cosa mi state facendo! Cosa volete da me!”
“non preoccuparti. Ti stiamo rendendo speciale” rispose l’uomo, con un sorriso che era in realtà un ghigno.
Lei non ebbe il coraggio di replicare. Deglutì, mentre lo vedeva sparire oltre la porta.

“allora, Dottore, l’esperimento procede bene?” disse un uomo sulla cinquantina beatamente seduto alla scrivania del suo ufficio.
“il soggetto sta rispondendo magnificamente al trattamento”
“quindi stavolta funzionerà?”
“certamente. Il suo fisico sta assorbendo il siero con gli effetti desiderati. Le modifiche al DNA saranno permanenti e, al tempo stabilito, sarà pronta. Lei sarà il prototipo 1. In attesa di vedere la risposta dell’altra candidata”
“perciò ci siamo…”
“si, Mister J. Stavolta ci siamo”.
L’uomo sorrise di soddisfazione. Il Dottore rispose con una smorfia compiaciuta.

Continua…

martedì 28 agosto 2012

La recensione

Raramente sui manuali universitari trovo materiale direttamente fruibile, ma questo paragrafetto sul decalogo del buon recensore mi ha colpita per immediatezza e applicabilità, così ho deciso di farne un post e condividerlo su Word in Progress.
Il decalogo proviene da M. Santoro, A. Orlandi, Avviamento alla bibliografia, Milano, Editrice Bibliografica, 2006.

Il decalogo del buon recensore
  1. fornire stringate informazioni sull'autore;
  2. fare il punto della ricerca sul tema proposto;
  3. descrivere il contenuto del libro;
  4. annotare osservazioni sullo stile espositivo;
  5. intervenire sull'intenzione di risposta del libro rispetto ai problemi metodologici insoluti;
  6. illustrare alla fine dell'esposizione qualità e lacune dell'opera;
  7. sottolineare l'eventuale apertura di nuove prospettive di ricerca;
  8. commentare la qualità della traduzione se si recensisce un testo tradotto;
  9. avere cura di leggere solo alla fine quarta e risvolto di copertina per operare un confronto tra l'opera e la strategia editoriale;
  10. evitare di confondere una recensione con un articolo;
Dal manuale provengono anche alcune osservazioni sullo stile della recensione e i suoi obiettivi:
  • scrittura appropriata e funzionale;
  • istanza pedagogica;
  • compito di servizio informativo e orientativo.
Nel manuale vengono prese in considerazione anche le recensioni di saggi, manuali e monografie specifiche per disciplina, quindi i punti 2, 5 e 7 sono forse più mirati a questa tipologia di pubblicazioni, ma trovo che in generale questo decalogo possa tornare utile come promemoria per la scrittura di recensioni.

giovedì 23 agosto 2012

Ti odio

Un nuovo Racconto sotto l'ombrellone, scritto da Romina Tamerici.
Grazie per l'invio, Romina! :)

«Non ti sopporto più! Ti odio!».
Lo so, forse sono troppo dura, però a volte ci vuole un po’ di fermezza.
E poi, se non vuole capire con le buone, io cosa devo fare? Subire per tutta la vita?
Eh, no! Ora basta!
Io non lo sopporto più, va bene? E poi nessun vincolo ci lega, dunque che se ne vada dalla mia vita e alla svelta! Io giuro che non lo rimpiangerò.
«Non è vero. Non mi odi. Io ti faccio stare bene. Ricordi come stavi male qualche mese fa, quando io non c’ero?» replica lui, con il suo solare sorriso che mi cattura l’anima.
Ha ragione, quel dannato! Ho passato un inverno terribile, senza di lui, ma le ragioni sono tante e lui non può sempre prendersi il merito per ogni cosa. E poi non vede mai le sue colpe: è troppo superbo. Sembra non ricordare quanto sono stanca in questo periodo e quanto la sua ossessiva e continua presenza nella mia vita mi stia distruggendo. Non tiene conto di tutte le volte in cui evito di uscire di casa nel timore di trovarmelo davanti e dei miei tentativi di sfuggirgli che si rivelano inutili, perché poi è lui a raggiungermi a casa, a cercare di sedurmi e convincermi che ho bisogno di lui. Non rammenta quante volte gli ho chiesto qualche ora di solitudine per pensare, per riposare oppure per scrivere una pagina del mio nuovo libro senza sentirmelo arrivare alle spalle, silenzioso e angosciante al punto da accelerarmi il respiro.
Ormai ho deciso: lo odio. Anzi, l’ho sempre odiato. E solo perché ogni tanto, occasionalmente, una decina di volte in una vita, per puro caso, senza nemmeno rendersene conto, mi regala qualche momento piacevole, non posso far finta di ignorare tutto il resto! Esiste una linea sottile tra ciò che si può accettare e ciò che ci fa impazzire. E lui ha superato quella maledetta linea. Superata, ok? Fine dei giochi. Io non ce la faccio più.
«Io ti odio. Ti odio!» gli ripeto, ignorando la sua stupidissima domanda retorica che mi annebbia i pensieri con i dubbi e gli occhi con le lacrime.
«Non è che confondi l’odio con l’amore?» risponde, saccente al punto che mi verrebbe voglia di sputare sul suo volto sfuggente.
Mi dispiace fare pensieri così tristi e vendicativi. Non sono certo nel mio stile, ma lui rivela il lato peggiore di me. Scatena la mia parte meno razionale, quella più violenta e polemica, più terribile e antipatica, quella che a fatica cerco sempre di sopprimere sotto il peso di altri miei lati, magari appena un po’ meno detestabili.
«Non parli, eh? Sapevo di aver ragione: mi ami!» commenta e teorizza.
E ditemi voi se si può amare un essere simile! Io lo prenderei volentieri a schiaffi, se avessi la forza per reggere uno scontro e uscirne in modo dignitoso.
«Vattene!» è la sola cosa che riesco a dire, è l’unica parola che mi esce dalla gola, cancellando tutte le altre ingiurie che vorrei lanciargli.
«Ti mancherò, vedrai!».
«Va bene, lo vedremo, ma intanto avviati, ok? Fuori dalla mia vita» ribatto seccata.
«Mi rimpiangerai».
«Io credo di no».
Non replica e se ne va. Ogni passo che fa si allontana da me.
Finalmente.
Non l’ho mai amato.
Mai.
E ora sono libera.
Libera.
Un vento fresco mi solletica il fiso. Finalmente respiro, senza più il suo peso sull’anima.
Se n’è andato.
Il caldo finalmente non c’è più!

mercoledì 22 agosto 2012

Lucia che sogna granite e gelati

C'è chi le vacanze estive le passa a casa, godendosi *urhm* sorbendosi la calura estiva.
Di questo però è meglio se non mi lamento troppo perché è stata una mia scelta.
L'intento era quello di concentrarmi sullo studio e preparare almeno tre esami per la prossima sessione. Le condizioni atmosferiche attuali, purtroppo, non rendono per niente facile il compito.
Per cui ecco qui il mio Racconto sotto l'ombrellone, anche se in realtà l'ho scritto in camera mia all'una di notte, unico orario della giornata durante il quale nella mia stanza si riesce a star seduti al computer senza che mi vengano a mancare il respiro e le vertigini. Il racconto è in parte biografico.
Tranne che per la parte dove si parla di vampiri, ovviamente. ;-)
Che ci faceva Lucia ancora alzata all'una e mezza del mattino, a fissare lo schermo del computer che era anche l'unica fonte di luce nella stanza, le finestre spalancate e il ventilatore che ronzava come un insetto?
Aspettava che la stanza si raffreddasse dal bollore che aveva immagazzinato durante il giorno.
Davvero non se ne poteva più di quell'estate torrida!
A Lucia faceva male vedere l'erba bruciata della sua campagna e la terra grassa e umida tramutata in polvere grigia e arida, gli alberi che cedevano le foglie e i cespugli avvizziti e sofferenti. Erano mesi che non pioveva e la colonnina del termometro non accennava a scendere. Tre mesi di caldo africano dov'erano abituati a estati fresche e piovose.
O almeno, così Lucia ricordava le estati della sua infanzia.
Avrebbe dovuto studiare. Il rientro scolastico sarebbe avvenuto a breve e ancora non aveva compilato che metà dei compiti per le vacanze, ma c'era troppo caldo, si sentiva troppo spossata e non riusciva a concentrarsi.

lunedì 20 agosto 2012

Racconti sotto l'ombrellone: L’hotel

Cari amici lettori,
ecco un nuovo racconto sotto l'ombrellone. Buona lettura e buon divertimento!! :-)

Mary era in auto con sua sorella Jane e Tom, il ragazzo di lei, alla guida.
Stavano andando a passare le vacanze in una località balneare che Mary non conosceva, in verità era poco conosciuta di per se, ma chi c’era stato aveva giurato che fosse un piccolo paradiso terrestre.
Non le era stato permesso di andare con gli amici a Wyland, la patria del divertimento del paese, e aveva dovuto ripiegare sulla scomoda soluzione di aggregarsi alla sorella maggiore, cosa poco gradita anche a lei. I genitori erano stati inflessibili e irremovibili: in vacanza in solitaria le sarebbe stato concesso solo dopo il compimento della maggiore età e, ahimè, le mancavano ancora due anni a questo ambito traguardo. Due lunghi e noiosi 
anni.
Mary era sdraiata sul sedile posteriore dell’automobile di Tom, smanettando sulla tastiera virtuale dello smartphone messaggini disperati nel mare della sua bacheca facebook, sperando nel conforto degli amici.

“Mary, alzati e siediti composta. Non è la tua macchina questa!” la apostrofò Jane con cipiglio severo.
“Uffi! Sono in vacanza…”
“No, sei dentro la mia vacanza , per la cronaca, e tutto per la tua mania di essere grande e indipendente. Non potevi aspettare i 18 anni come ho fatto io?”
“I tuoi sono arrivati prima”
“Grazie, per forza! Sono nata prima di te di 9 anni. Ma anche a me mamma e papà hanno imposto di aspettare la maggiore età e così ho fatto. Non dovresti avere la smania di crescere. Ti pentirai della gioventù perduta”
“I tempi sono cambiati da quando avevi la mia età tu, nel medioevo…”
“Ah, ah, che battutona di terz’ordine! Ma purtroppo per te, qui devi stare. E alzati a sedere maleducata!!”
“Uffa, che barba!” sbuffò Mary, issandosi a sedere.
“Se vuole stare sdraiata, per me non c’è problema. Se sta più comoda così…” si intromise Tom con la sua voce felpata. Lui era sempre gentile con Mary. Per lei era il prototipo del principe azzurro: capello folto, mosso e naturalmente scuro, occhi marroni luminosi come gemme, atletico e dall’altezza irraggiungibile… un autentico modello da sfilata. Un figo per dirla col gergo giovanile.
La ragazzina adorava Tom, ma ahimè… lui era già impegnato con la sorella più grande, Miss Bellezza da Manuale: capello biondo come il grano, occhio ceruleo, altezza degna di una mannequin, corpo altrettanto snello e proporzione… con la possibile eccezione del sedere, forse l’unica parte un po’ fuori misura rispetto al resto.
Mary si era spesso chiesta perché tutta la Perfetta Beltà era finita a Jane e a lei erano rimaste le briciole? Perché era lei a dover avere i capelli castano chiaro? E gli occhi nocciola? E le forme non esattamente longilinee? D’accordo non era grassa, ma aveva quell’accenno di pancetta fastidiosa che la faceva incavolare da morire e non c’era verso di mandarla via! Che ingiustizia! Possibile che il Creatore fosse così di parte? Lei però aveva un’ottima qualità: uno sterminato senso dell’humor, utile in molteplici situazioni ;-) .
“Deve imparare a comportarsi come si deve, non è più una bambina ormai”, Mary si destò dai suoi pensieri, “e poi siamo arrivati all’hotel”
Jane indicò una costruzione di epoca vittoriana a picco sul mare. Il cielo quel giorno era nuvoloso e minacciava pioggia, le ombre della sagoma dell’hotel si accentuavano con la scarsa luce del giorno. Questo, unito al loro incedere lento e solenne, rendeva l’arrivo inquietante come nei migliori film dell’orrore. 
Tom fermò l’auto nel parcheggio dell’albergo e scaricò dal bagagliaio le 3 valigie trolley, bastanti per una settimana di vacanza. Jane, afferrata la maniglia del suo si mise alla testa del gruppo e si diresse alla reception. Suonò il campanellino e attese che qualcuno del personale arrivasse ad accoglierli.
Si materializzò un ragazzo su per giù dell’età di Mary. Jane, diffidente, gli chiese delle stanze prenotate: una matrimoniale e una singola. La singola era, ovviamente, per la sorella minore.
Il ragazzo confermò la prenotazione e si fece lasciare i loro dati personali.
Sopraggiunse un uomo dal portamento elegante che si posizionò di fianco al ragazzo.
“Signori è tutto a posto? Spero che mio figlio non vi abbia importunato troppo” disse lanciandogli un’occhiata eloquente “Sono Vincent Klum, la mia famiglia possiede e gestisce questo hotel da generazioni”
“Oh, dunque, lei è il proprietario? È un vero piacere” si complimentò Jane, porgendo la mano.
“Mi auguro vivamente che mio figlio Cledis non abbia creato eccessiva confusione”
“Ma certo che no, sig. Klum, è stato davvero molto professionale. Ha sicuramente imparato da lei”
“Spero vivamente che voglia di continuare l’attività di famiglia”
“Perché non dovrebbe?”
“Mah… i giovani d’oggi… chissà che cosa gli passerà per la testa”
“Sono certa che continuerà l’attività di famiglia” sorrise Jane, con la sua dentatura perfetta.
“…E comunque non ho importunato affatto” si intrufolò Cledis nella conversazione “tu non c’eri e nessun’altro era in vista, mi è sembrata la cosa più logica venire ad accogliere i nuovi ospiti. Mi hai insegnato tu come si ricevono i nuovi clienti. L’ho fatto anche altre volte”
“Sei stato bravo Cledis” si complimentò il padre, dandogli una carezza “Ora lascia fare a me. Ragazzi, le vostre stanze sono  la 57 e la 58. Mio figlio vi aiuterà a portare i bagagli nelle stanze.
“Molte grazie” rispose Jane, afferrando le chiavi. Sembravano antiche, in ottone lavorato dorato.
Cledis afferrò le valigie di Mary e Jane.
“Se vuoi lasciare qui la tua”, disse rivolto a Tom “ritorno appena appoggiate queste”
“Non preoccuparti, porto io la mia. Dopotutto devo mostrare alla mia ragazza di essere forte e vigoroso”
Jane gli lanciò uno sguardo impettito, mentre Mary osservò Tom e Cledis scambiarsi uno sguardo complice e guascone.
La stanza 57 era la matrimoniale. Jane e Tom sistemarono le loro valigie all’interno. Si mossero per lasciare una mancia a Cledis, ma lui rifiutò. Accompagnò Mary fino alla camera a fianco.
“Molte grazie” ringraziò la ragazzina.
“E’ stato un piacere” rispose facendole l’occhiolino. Mary sentì le guance irrorarsi si rosso.
“Aspetta!” lo fermò, prima che uscisse. Lui si voltò a guardarla con i suoi occhi azzurri. Grandi. Espressivi.
“Ti vedrò… più tardi?”
“Certo. Sono sempre qui in giro. Altrimenti chi manderebbe avanti la baracca?”
Mary sorrise.
“È tornato fuori il sole. Potete approfittare per andare a fare un giro al mare prima di pranzo. Qui si pranza dall’una, una e mezza in poi. L’ho detto anche a tua sorella e il suo ragazzo”
“Ok, grazie mille!”
Cledis uscì, trascinandosi dietro la porta. Mary aprì la valigia per cercare l’occorrente per andare al mare; indossò il costume, afferrò la borsa mare e scese per la spiaggia privata dell’hotel.
Vi trovò già Jane e Tom beatamente accomodati sulle sedie sdraio sotto l’ombrellone.
“Grazie per avermi aspettato, eh…” disse sarcasticamente, stendendo il telo sullo sdraio libero.
“Spalmatiti la protezione alta. Sei bianca come un latticino. E mettila anche sul viso!” disse Jane
alla sorella.
“Uffi, sei peggio della mamma! So perfettamente con quale crema solare imbrattare la mia pelle”
“La mamma si è raccomandata di tenerti d’occhio. Però spero vivamente di non doverti seguire come un segugio. Vorrei godermi la vacanza col mio ragazzo”
“Ovvero, speri di fornicare ad ogni occasione utile…”
“Mary non essere volgare!! Prendi due sberle sai!”
“Ammetti, almeno, che è la verità”
“Non sono affari tuoi quello che faccio quando sono con Tom”
“Non c’è mica da vergognarsi. Lo farei anche io se avessi un ragazzo”
Jane ebbe la tentazione di sputare una risposta al veleno, ma si trattenne e tornò a rosolarsi al sole.
E fu già l’ora del pranzo. I ragazzi rientrarono nelle rispettive stanze a rendersi presentabili per entrare in sala.
Un cameriere li accompagnò al loro tavolo e li invitò ad assaggiare le verdure  e le insalate di mare a buffet messe a disposizione dalla direzione dell’hotel. Jane e Tom approfittarono con entusiasmo. Mary preferì non prendere nulla ed aspettare il primo.
Insalata di pasta e filetto di sogliola con salsa rosa era il menu scelto dai ragazzi per il pranzo. Mary divorò la pasta fredda e attese con trepidazione il pesce.
“Non trovate che questa salsa rosa abbia un sapore strano?” disse dopo un paio di bocconi.
“Io la trovo ottima” disse Jane
“Sarà fatta col sangue. Sangue umano…” bisbigliò sibillino Tom.
“Tom, non dirlo neanche per scherzo! Lo sai che Mary si impressiona facilmente”
“In effetti, Tom potrebbe avere ragione. Ha questo retrogusto dolciastro…”
“Ecco! Hai visto? E’ semplicemente un po’ agrodolce, Mary, nulla di strano o horror”
“Sarà, ma non mi convince”
“Tutto bene?” chiese la voce del proprietario giunto alle spalle della ragazzina
“Tutto perfetto, Sig. Klum, e tutto squisito” sorrise Jane con la sua miglior espressione da Miss.
“Ne sono felice. Per concludere degnamente il pranzo oggi abbiamo bavarese con purea di frutti bosco e panna come dessert”
I ragazzi annuirono entusiasti.
A metà della torta, Mary espresse di nuovo perplessità.
“A voi la salsa di frutti di bosco piace?”
“Si, perché?” chiese Tom.
“È strana… come la salsa rosa. Ha un sapere inquietante. Non mi piace. Non la finisco!”
“Mary, non fare la bambina viziata! Finiscila! Non si butta via il cibo!”
“Jane, questo cibo ha qualcosa di strano. L’hotel ha qualcosa di strano. Per me conviene andarcene da un’altra parte”
“Ma sei fuori? Non ci penso neanche lontanamente. Questo è un ottimo albergo e non ce ne andremo perché tu guardi troppi film horror”
“Perché non dai mai retta alle mie sensazioni? Sento di avere ragione, perché mi snobbi sempre? Solo perché sono la più piccola?”
“Non è questo. È che lavori troppo di fantasia. Mamma e papà lo dicono sempre”
“Beh, non venire a piangere da me quando il cuoco pazzo ti rincorrerà per fare del roastbeef dei tuoi cosciotti”
“Ah, ah… divertente. Io non ho i cosciotti”
“Si che li hai. Sai miss perfezione, io non sarò bella e magra quanto te, ma almeno non ho i fianchi sproporzionati e il sederone”
“Cosa?? Ma senti questa!!”
“In effetti”, si intromise Tom, “Mary ha un sedere notevole. È più proporzionato del tuo al resto del corpo”
“Ah, si?”
“Visto, abbiamo il parere di un esperto”
“Beh, visto che ho un sedere così enorme, immagino che l’esperto farà a meno del dopocena romantico che avevamo in programma stasera, no? Un vero peccato…” Tom fece per replicare, ma Jane lo zittì alzando l’indice. “e tu, signorina, finirai la torta per intero. Altrimenti chiamo a casa, dico che stai facendo troppi capricci e ti faccio venire a prendere”
“Sei una dispotica signorina Rottermaier”
“E tu sta’ attenta al cuoco omicida”
Mary le fece la linguaccia, ma finì la torta e la purea sospetta.
Dopo pranzo, Jane e Tom si ritirarono nelle loro stanza a riposare, mentre Mary si mise in esplorazione dell’hotel.
Sembrava davvero un maniero antico: aveva una stanza col camino, ovviamente spento, per sorseggiare liquori digestivi, una stanza dei cimeli antichi tutti rigorosamente sotto vetro, un a biblioteca enorme e una sala tutta tappezzata di quadri.
Mary si fermò a fissarli. Le piaceva molto osservare i quadri e i volti in essi dipinti e cercare di immaginare le vite di quelle persone morte da chissà quanto.
Li passò in rassegna uno ad uno fino a quando si fermò davanti al ritratto di un giovane in primissimo piano. Dal colletto che si intravedeva e dalla pettinatura sembrava vissuto nel ‘700. Guardandolo bene, Mary si accorse che somigliava tantissimo a Cledis: stessi occhi azzurri, stessi capelli castano dorato, stessa espressione facciale tra il serioso e lo strafottente.
Proprio Cledis la raggiunse in contemplazione.
“Belli questi quadri, vero?”
“Moltissimo. Sono autentici?”
“Certo. Qui è tutto d’epoca, conservato con le migliori cure perché il tempo non le deteriori”
“Sai, io adoro queste stanze piene di quadri, mi diverto a immaginare la vita e le storie di coloro che vi sono dipinti”
“Questo cosa ti suggerisce?” chiese Cledis riferendosi al dipinto di fronte a loro, quello che gli somigliava come una fotografia.
“Beh, questo dev’essere un tuo illustre antenato. Ti somiglia come una goccia d’acqua” Mary si avvicinò e lesse la targhetta in ottone con il nome del ritratto. “Cledis Klum. Visto, si chiama come te” 
“In famiglia sono l’unico a chiamarsi Cledis. Non ce ne sono altri”
“Ma che dici, questo si chiama come te. E non puoi essere tu. Sarà stato dipinto almeno trecento anni fa…”
“Infatti, hai un ottimo spirito di osservazione…” lasciò in sospeso il ragazzo con un sorriso enigmatico sul volto.
Mary lo guardò perplessa.
Notò due puntine bianche spuntargli da sotto il labbro superiore.
La ragazzina trasalì.
“Sei un vampiro!!” gridò spingendolo lontano da lei e correndo via.
Cledis, colto alla sprovvista, cadde a terra urtando un mobile lì vicino.
Mary corse a rotta di collo fino alla camera della sorella.
“Jane!! Jane!! Apri per favore!!” urlò bussando disperata alla porta “Jane!!!”
“Ehi, ma che c’è? Fai piano che è l’ora del riposo” le rispose la sorella aprendo. La ragazzina si fiondò all’interno.
“Jane dobbiamo andare via! Ci uccideranno se rimaniamo qui”
“Ma che dici? Ti sei fumata una canna?”
“No, Jane, ascolta… so che non mi credi, ma… sono vampiri! Ci succhieranno come ghiaccioli in estate e ci uccideranno! Dobbiamo andare via di qui subito!”
“Vampiri? Chi?”
“Cledis, il figlio, ho visto i suoi canini. Ne deduco che anche i suoi lo siano e forse anche tutto il personale dell’hotel”
“Anche se fosse, e non lo è, cosa ti fa credere che ci mangeranno, o altro? Sei stata forse aggredita?”
“Non gliene ho dato modo. L’ho spinto via prima che potesse fare qualunque cosa. Forse pensava che fossi una ragazzina senza nervo. Ha trovato pane per i suoi denti”
“Mary, ora calmati e rifletti: non è possibile che ti abbia fatto un scherzo e che si fosse messo dei denti finti”
“Erano veri, te lo assicuro”
“Mary, non è possibile…”
“Si, invece! Perché non mi credi?”
“I vampiri non sono reali”
“Questo lo dici tu! Solo perché non ne hai mai avuto uno davanti non significa che non esistano”
“Ma ragiona! Sono frutto di immaginazione letteraria e popolare!”
“Perché non mi credi? Ti hanno forse già morsa?” la accusò Mary, tentando di scostarle il colletto alto della sua camicia da camera.
“Ma che fai?! Sei matta, mi aggredisci?!” rispose Jane mettendosi a posto il colletto. Sul suo collo non c’erano segni di morsi o altro.
“Scusa… pensavo ti avessero azzannato al collo e trasformata in una di loro…”
“Tu sei fuori di testa. Adesso chiamo mamma e papà” disse Jane afferrando il telefono.
“No! Se li fai venire qui uccideranno anche loro!!”
“Mary, nessuno ucciderà nessuno, qui. Siamo in vacanza in un rispettabilissimo hotel a 4 stelle. Cosa ti manca per essere tranquilla e felice?”
“Jane devi credermi, sono vampiri…” pigolò Mary con le lacrime agli occhi.
“Già, perché tu cosa pensi di essere?” Jane appoggiò il telefono sul letto
“Cosa? Cosa hai detto?”
“Jane…” bisbigliò Tom, mai uscito dalla stanza, e spettatore silenzioso del diverbio tra le sorelle
“Prima o poi lo dovrà sapere, Tom…”
“Sapere cosa…?”
“Anche tu sei un vampiro. Qui siamo tutti vampiri, facciamo parte di una comunità di vampiri. Mamma e papà non ti hanno mai detto niente perché avevano paura di urtare la tua sensibilità. Non trovavano mai il momento giusto. Beh, ora l’ho trovato io. Era ora che lo sapessi. Così, forse… vivrai con più serenità i cambiamenti che ormai sono imminenti”
“Cosa… quali cambiamenti?
“I canini, la vista che si acutizza al massimo, l’udito sopraffino, il fiuto finissimo…”
“Così siamo tutti vampiri…”
“Già… Vuoi che chiamo la mamma? Vuoi parlare con lei?” le chiese Jane, accarezzandole i capelli
“No… non… non occorre. Non disturbarla… Vado via”
“Dove vai?” 
“Andrò a cercare Cledis per scusarmi. Dopotutto l’ho colpito senza motivo”
“Beh, è stato solo istinto di conservazione”
“Ma è stato lo stesso maleducato il mio gesto”
“Ok, d’accordo. Andiamo in spiaggia quando torni?”
“Si, va bene. Mi aspettate?”
“Certo. E oggi avrai un mega gelato come merenda”
“Allora c’era davvero sangue umano nella salsa rosa e in quella di frutti di bosco…”
“Mary… non so se fosse umano, ma si… era sangue. Dobbiamo assumerlo giornalmente per sopravvivere al meglio”
“Perché a casa non me ne sono mai accorta?”
“Perché la mamma è una brava cuoca”
“Oh, è vero”
Jane sorrise e anche Mary. Si abbracciarono. Come due buone sorelle.

Fine

mercoledì 15 agosto 2012

Il gatto nero e Poesie piccole

Ogni tanto mi piace esplorare la letteratura per bambini e ragazzi, perché, al di fuori delle collane più conosciute, a volte si trovano dei piccoli libri davvero gradevoli, oppure, esplorando tra le collane meno conosciute, si può trovarne di davvero carine, come la collana Il gatto nero di Feltrinelli.
Per il momento di libri di questa collana ne ho letti solo due, Sette volte gatto di Domenica Luciani e La gattina che voleva tornare a casa di Jill Tomlison e mi sono piaciuti moltissimo.
Sette volte gatto racconta la storia di Baffo di Luna, un gattone nero con un baffo bianco.
Baffo di Luna si reincarna sette volte e da una vita all'altra accumula memorie. Con lui viaggiamo nell'antico Egitto, nell'antica Roma, nella Germania del '500 durante la caccia alle streghe, nella Russia degli zar, nell'Inghilterra vittoriana e in molti altri luoghi e tempi.
Baffo di Luna conserva le memorie della sua vita precedente e ogni volta che rinasce acquisisce nuovi ricordi e nuove esperienze.
Il libro è narrato in prima persona da Baffo di Luna! Una storia triste, tenera e umoristica.
La gattina che voleva tornare a casa racconta la storia di Suzy, gattina di origini francesi che, dopo essersi infilata a sua insaputa nella cesta di una mongolfiera, si ritrova in Inghilterra.
Il libro racconta dei suoi tentativi per tornare in Francia.
In Inghilterra Suzy troverà chi si occuperà di lei e farà tanti incontri interessanti, sulla spiaggia dalla quale tenta di attraversare, con scarso successo, il tratto di mare che la separa dalla sua casa e dai suoi padroncini.
Alla fine riuscirà a tornare a casa. In che modo? Leggete il libro per scoprirlo! 
Un altro libro di cui vorrei parlare, pubblicato da Mondadori Junior, è Poesie piccole di Roberto Piumini.
L'ho scoperto esplorando gli scaffali della cartolibreria del mio paese.
Un libro di poesie ideate per giocare con le parole, che raccontano i mesi, le stagioni, i giorni e le ore, il tempo che passa. Anche questa lettura mi è piaciuta moltissimo, perfetta soprattutto per rilassarsi prima di andare a dormire, o per trascorrere il tempo mentre si viaggia in treno o bloccati in una sala d'aspetto.
Sono libri per bambini, scritti con un linguaggio semplice e immediato, ma che possono essere apprezzati anche dagli adulti, per riscoprire il bambino che c'è in ognuno di noi e il piacere di giocare con le parole.

lunedì 13 agosto 2012

Una nuova idea: racconti sotto l’ombrellone!

Eccomi di nuovo qui fedeli lettori!
Come  vi dicevo nel mio ultimo post, durante le sudate ferie mi è venuta una nuova idea da proporvi: racconti sotto l’ombrellone.
In che cosa consiste? La mia idea era di pubblicare brevi raccontini di chiunque vorrà partecipare (perciò la vostra partecipazione sarà oltremodo gradita) di genere e argomento a piacere (purché non siano contrari al comune senso del pudore) che mi piacerebbe far votare sul blog e anche su facebook. Se ce ne sarà uno che avrà ottenuto più voti degli altri sarà proclamato vincitore dei racconti sotto l’ombrellone e… non ci sono premi in palio ma avrà la soddisfazione di essere stato il più letto :-)
Ho pensato a questa iniziativa perché l’estate è il periodo dove, potenzialmente, si legge di più con le vacanze e il relax e quindi ho pensato che fosse carino proporre un’idea di svago ispirata a questo principio vacanziero. Non so se avrà molto seguito. Io spero che ci sarà voglia di mettersi in gioco e di buttarsi.
Se volete postate i vostri racconti potete  metterli come commento ai post della serie “racconti sotto l’ombrellone”, o mandarli via mail all’indirizzo della redazione di word in progress (e farli pubblicare da noi così come sono arrivati). Magari specificate che sono per i “racconti sotto l’ombrellone”. Vedete voi quale metodo preferite.

Sperando di avervi stuzzicato l’appetito scribacchino e quello di lettura e intanto vi lascio col primo racconto sotto l’ombrellone!

A presto!! :-)


LE LIETE NOZZE

La futura sposa stava pregando. In chiesa, inginocchiata tra le ultime panche di legno.
 

mercoledì 8 agosto 2012

Non di sole parole si compone una storia

Titolo altisonante per mascherare il fatto che ormai sono un po' a corto d'idee, per cui, per non lasciare il blog deserto per il prossimo mese, ho deciso di inaugurare una nuova rubrica: Non Solo Libri.
Che accoglierà recensioni di film e condivisioni di shorts che ho trovato interessanti su Vimeo e Youtube.
Lo so, questo dovrebbe essere un blog che parla di lettura e di scrittura, ma storytelling si può fare anche con la musica e le immagini. Non ci credete? Guardate questo delizioso corto, da Vimeo.


venerdì 3 agosto 2012

Hayao Miyazaki

Domanda del tutto legittima del lettore: «Per quale motivo in un blog che tratta di lettura e scrittura si parla di film d'animazione giapponesi?»
Risposta, un po' piccata, del blogger che cura i contenuti: «Perché una storia si può raccontare in molti modi, non necessariamente (o esclusivamente) in forma scritta. C'è il racconto orale, c'è quello interattivo dei videogiochi e c'è quello che mescola immagini animate, suoni e narrazione del film.»
«D'accordo. Ma perché proprio Hayao Miyazaki e i film d'animazione giapponesi?»
Perché, per me, Hayao Miyazaki è uno dei più grandi storyteller della nostra epoca.

giovedì 2 agosto 2012

Ritorno… al futuro

Ciao a tutti!
Sono tornata. Dalle ferie. Le sudate ferie.
Vi sono mancata?
Ritornare al passato, ma a me piace pensare che sia un pezzetto del mio futuro, è sempre piacevole anche se può essere traumatico ripartire il lunedì mattina dopo una settimana di intensa vita da gatto.
A me piace il mare, stando il 95% della mia vita in posto definito da sempre montagna. Quindi per me le vacanze è prendere il via per andare al mare.
Perciò, partita e arrivata a destinazione, ho passato la settimana scorsa tra il dormire, il crogiolarmi al sole, fare bagnetti pomeridiani, strimpellare parole crociate e il pensare.
Certo, il mio fisico va in risposo, ma il mio cervello no, lui lavora sempre e durante il periodo che mi concedo di relax mi piace far girare le rotelline del cervello per le attività che mi piacciono: scrivere, creare, trovare nuovi stimoli.
Infatti m’è venuta un’idea da proporre a tutti voi lettori, ma l’ho trascritta sulla buona vecchia carta (in ferie non c’è dubbio che mi porti dietro il pc, neanche morta. Carta e penna e va bene così! :-) ) e adesso andrebbe trascritta nel programma di videoscrittura.
In questi giorni non penso riuscirò a farlo, faccio altre cose, ma prossimamente spero di potervela postare.
Nel frattempo, vi mando queste poche righe per farvi sapere che sono viva e carica di buoni progetti per il futuro, compresa la mia nuova mania del momento: farmi bijoux da sola. Ma questa è un’altra storia…

Alla prossima!

Ciau!

:-)