All'inizio del XX secolo gran parte della giungla che circondava Palenque, una delle città più importanti della regione centrale del territorio appartenuto ai Maya, ritornò alla luce, con lo splendore dei suoi monumenti, dopo più di un millennio di abbandono. All’interno del sito archeologico il ritrovamento più importante fu senza dubbio quello della tomba del re K'inich Janaab' Pakal (Pacal il grande). La tomba, un sarcofago di pietra rossa, era chiusa da un'enorme lastra rettangolare ricoperta di incisioni intricate. Sollevandola, fu rinvenuto un tesoro di manufatti d'arte Maya. Il viso del defunto era protetto da una splendida maschera a mosaico di giada, con gli occhi di conchiglia e le iridi di ossidiana. La mummia indossava orecchini e gioielli ed era alta 1.73 cm, fatto che suscitò una grande sorpresa, dal momento che l'altezza media dei Maya contemporanei a Pacal era di 1.50 cm. Gli archeologi registrarono un'ulteriore stranezza: era usanza dei Maya schiacciare il cranio dei neonati perché si riteneva che la forma allungata fosse un attributo estetico di grande valore, ma il corpo nel sepolcro non presenta questa deformazione nel cranio. In altre parole, il corpo di Pacal non corrispondeva a quella che era la fisicità dei Maya e quindi Pacal non era evidentemente un Maya come tutti gli altri. Ma un particolare ancora più singolare era rappresentato dalla lastra che copriva il sarcofago: al centro di essa era raffigurato un uomo in una strana posizione. Le sue mani e i suoi piedi sembravano impegnati a manovrare pedali e manopole, la testa pareva essere appoggiata su un supporto, nel naso un qualcosa dalla forma triangolare che a molti ricordava un inalatore. L'uomo era inserito in una struttura molto simile a un razzo; a rendere più marcata la somiglianza con un razzo sono le fiamme chiaramente disegnate sul retro.
Gli archeologi che rinvennero la tomba furono uniti nel dichiarare che, all'apertura del sarcofago, furono come pervasi da "un vento di polvere stellare". Tutto gli indizi quindi sembravano far convergere su un'unica teoria: quella che la figura enigmatica al centro della lastra rappresentasse un essere giunto dallo spazio a bordo della sua astronave. Il cosiddetto Astronauta di Palenque spiegherebbe le straordinarie conoscenze astronomiche del popolo Maya, la sua ossessione per il tempo e per l'universo, il suo senso di appartenenza al tutto e, non ultimo, darebbe una soluzione definitiva al mistero dell'improvvisa apparizione e scomparsa dei Maya.
Eccomi dunque completamente immerso in un’avventura che mai avrei sperato di vivere. Il manoscritto che tanto aveva attratto il mio interesse era forse in qualche modo collegato all’antica civiltà Maya e ai suoi misteri? Se quell’uomo.. come si chiamava… Kukulkàn… non mentiva, allora quei pochi indizi a mia disposizione sembravano confermarlo. Ma sicuro. Non poteva essere altrimenti. La leggende relative ai Maya, il varco tra due mondi a cui Kukulkàn aveva accennato. Su questo e molto altro riflettevo quella mattina durante il viaggio per Palenque. Avevo incontrato il mio compagno di viaggio sul luogo dell’appuntamento all’ora convenuta e ci eravamo accomodati su un paio di sedili in fondo alla corriera. Il viaggio da Città del Messico alla nostra destinazione, circa 900 km, avrebbe richiesto almeno un paio di giorni. Ne approfittai per riposare: la stanchezza accumulata nei giorni precedenti cominciò a farsi presto sentire. Inoltre, il mio compagno di viaggio sembrava aver perso la sua loquacità e il suo silenzio, unito alla noia del viaggio, mi fece crollare.
Quando la corriera fece sosta presso un’area di servizio mi svegliai. Alcuni dei passeggeri, tra cui Kukulkàn, erano scesi per sgranchirsi le gambe. Lo osservai dal finestrino. Mentre tutti gli altri passeggeri erano intenti a passeggiare e a chiacchierare tra di loro, egli sembrava essere completamente impermeabile a qualsiasi influenza esterna: era in piedi, da solo, a qualche passo di distanza dal gruppo. Sembrava che stesse osservando qualcosa di invisibile in lontananza, qualcosa che sembrava aver attirato la sua attenzione sul pendio delle colline, oltre la strada. O almeno così credetti, visto che il suo sguardo sembrava leggermente sollevato rispetto all’orizzonte. Mi chiesi ancora una volta se fosse sano di mente. Un truffatore? Non credo. Se lo fosse stato non avrebbe avuto bisogno di pianificare una storia così complicata. Eppure, c’era qualcosa che non mi convinceva. Una nota stonata che era rappresentata dal manoscritto stesso, dalla sua stessa esistenza. Come poteva risalire all’epoca Maya, ben mille anni prima, ed essere giunto fino a noi in condizioni pressoché intatte? Quale strana magia aveva potuto permettergli di attraversare i secoli indenne?
Di questo mi dette spiegazione il mio compagno di viaggio, da me interpellato in proposito, pochi minuti dopo esserci lasciati alle spalle l’area di servizio.
- Poco dopo la conquista (tra il 1519 e il 1549), monaci e frati spagnoli insegnarono ai Maya a leggere e scrivere nella propria lingua. Ai fini della cristianizzazione, adottarono l'alfabeto latino e i Maya approfittarono del loro nuovo apprendimento per registrare tutto, dalla “lista della spesa”, alle profezie, ai rituali della corona. Alla fine del XVI secolo, un anonimo scrivano Maya scrisse "La storia del mondo dell'epoca". In essa egli raccolse numerose testimonianze delle origini di dèi, esseri umani e rituali. Questa raccolta è diventata una parte di quella che oggi è conosciuta come il libro di Chilam Balam di Chumayel.
- Chu… Chumayel?
- Si, Chumayel, quella particolare comunità Maya a cui questo libro specifico apparteneva.
- Quindi, questo libro altro non sarebbe che il Chilam Balam?
- Esatto. Da un punto di vista storico, il Chilam Balam è un testo importantissimo. Si discute degli avvenimenti più importanti della storia dello Yucatan secondo il concetto Maya del “tempo ciclico”, o come lo immaginiamo noi, della natura ciclica della storia.
Gli posi altre domande, ma a quel punto il mio compagno di viaggio smise improvvisamente di parlare. Era come se ad un tratto si fosse chiuso, immerso in un suo mondo al quale io non avevo più accesso. Non insistetti più di tanto e tornai ai miei pensieri. Non avevo mai approfondito la storia del mio paese, i Maya, gli Aztechi, le loro leggende, le loro divinità. Mi ripromisi di farlo al mio ritorno. Per il momento quello che sapevo era abbastanza… e poi, nei giorni successivi avrei certamente avuto diverse occasioni per saperne di più: quest’uomo sembrava davvero una persona di grande cultura, ed io mi sentivo fortunato a poterla condividere con lui, sebbene non mi fosse ancora completamente chiaro il significato del viaggio che stavamo affrontando. Trascorsi la maggior parte delle ore successive a dormicchiare e a leggere un libro di racconti che mi ero infilato nello zaino prima della partenza.
Fu l’autista a svegliarmi il giorno successivo, strattonandomi per un braccio e scuotendomi vigorosamente.
- Ehi, signore… siamo arrivati. La nostra corsa termina qua. Dovrebbe scendere, per cortesia.
Aprii gli occhi lentamente. Fuori era buio. Mi guardai attorno e… Mio Dio! Attorno a me non c’era nessuno. Solo l’autista, che seguitava senza sosta a sollecitare la mia discesa dal mezzo.
- Ma cosa? Dove siamo? Cosa sta succedendo? Dove sono tutti quanti?
- Questo è il capolinea, signore.
- Ma dov’è finito quel tizio che stava qui seduto accanto a me?
- Non saprei, signore, qui non c’è più nessuno.
By Obsidian M. (giovedì prossimo la quarta puntata)
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