Cari amici lettori,
ecco un nuovo racconto sotto l'ombrellone. Buona lettura e buon divertimento!! :-)
Mary era in auto con sua sorella Jane e Tom, il ragazzo di
lei, alla guida.
Stavano andando a passare le vacanze in una località
balneare che Mary non conosceva, in verità era poco conosciuta di per se, ma
chi c’era stato aveva giurato che fosse un piccolo paradiso terrestre.
Non le era stato permesso di andare con gli amici a Wyland,
la patria del divertimento del paese, e aveva dovuto ripiegare sulla scomoda
soluzione di aggregarsi alla sorella maggiore, cosa poco gradita anche a lei. I
genitori erano stati inflessibili e irremovibili: in vacanza in solitaria le
sarebbe stato concesso solo dopo il compimento della maggiore età e, ahimè, le
mancavano ancora due anni a questo ambito traguardo. Due lunghi e noiosi
anni.
Mary era sdraiata sul sedile posteriore dell’automobile di
Tom, smanettando sulla tastiera virtuale dello smartphone messaggini disperati
nel mare della sua bacheca facebook, sperando nel conforto degli amici.
“Mary, alzati e siediti composta. Non è la tua macchina
questa!” la apostrofò Jane con cipiglio severo.
“Uffi! Sono in vacanza…”
“No, sei dentro la mia vacanza , per la cronaca, e tutto per
la tua mania di essere grande e indipendente. Non potevi aspettare i 18 anni
come ho fatto io?”
“I tuoi sono arrivati prima”
“Grazie, per forza! Sono nata prima di te di 9 anni. Ma
anche a me mamma e papà hanno imposto di aspettare la maggiore età e così ho
fatto. Non dovresti avere la smania di crescere. Ti pentirai della gioventù
perduta”
“I tempi sono cambiati da quando avevi la mia età tu, nel
medioevo…”
“Ah, ah, che battutona di terz’ordine! Ma purtroppo per te,
qui devi stare. E alzati a sedere maleducata!!”
“Uffa, che barba!” sbuffò Mary, issandosi a sedere.
“Se vuole stare sdraiata, per me non c’è problema. Se sta
più comoda così…” si intromise Tom con la sua voce felpata. Lui era sempre
gentile con Mary. Per lei era il prototipo del principe azzurro: capello folto,
mosso e naturalmente scuro, occhi marroni luminosi come gemme, atletico e
dall’altezza irraggiungibile… un autentico modello da sfilata. Un figo per dirla col gergo giovanile.
La ragazzina adorava Tom, ma ahimè… lui era già impegnato
con la sorella più grande, Miss Bellezza da Manuale: capello biondo come il
grano, occhio ceruleo, altezza degna di una mannequin, corpo altrettanto snello
e proporzione… con la possibile eccezione del sedere, forse l’unica parte un
po’ fuori misura rispetto al resto.
Mary si era spesso chiesta perché tutta la Perfetta Beltà
era finita a Jane e a lei erano rimaste le briciole? Perché era lei a dover
avere i capelli castano chiaro? E gli occhi nocciola? E le forme non
esattamente longilinee? D’accordo non era grassa, ma aveva quell’accenno di
pancetta fastidiosa che la faceva incavolare da morire e non c’era verso di
mandarla via! Che ingiustizia! Possibile che il Creatore fosse così di parte?
Lei però aveva un’ottima qualità: uno sterminato senso dell’humor, utile in
molteplici situazioni ;-) .
“Deve imparare a comportarsi come si deve, non è più una
bambina ormai”, Mary si destò dai suoi pensieri, “e poi siamo arrivati
all’hotel”
Jane indicò una costruzione di epoca vittoriana a picco sul
mare. Il cielo quel giorno era nuvoloso e minacciava pioggia, le ombre della
sagoma dell’hotel si accentuavano con la scarsa luce del giorno. Questo, unito
al loro incedere lento e solenne, rendeva l’arrivo inquietante come nei
migliori film dell’orrore.
Tom fermò l’auto nel parcheggio dell’albergo e scaricò dal
bagagliaio le 3 valigie trolley, bastanti per una settimana di vacanza. Jane,
afferrata la maniglia del suo si mise alla testa del gruppo e si diresse alla
reception. Suonò il campanellino e attese che qualcuno del personale arrivasse
ad accoglierli.
Si materializzò un ragazzo su per giù dell’età di Mary.
Jane, diffidente, gli chiese delle stanze prenotate: una matrimoniale e una
singola. La singola era, ovviamente, per la sorella minore.
Il ragazzo confermò la prenotazione e si fece lasciare i
loro dati personali.
Sopraggiunse un uomo dal portamento elegante che si
posizionò di fianco al ragazzo.
“Signori è tutto a posto? Spero che mio figlio non vi abbia
importunato troppo” disse lanciandogli un’occhiata eloquente “Sono Vincent Klum,
la mia famiglia possiede e gestisce questo hotel da generazioni”
“Oh, dunque, lei è il proprietario? È un vero piacere” si
complimentò Jane, porgendo la mano.
“Mi auguro vivamente che mio figlio Cledis non abbia creato
eccessiva confusione”
“Ma certo che no, sig. Klum, è stato davvero molto
professionale. Ha sicuramente imparato da lei”
“Spero vivamente che voglia di continuare l’attività di
famiglia”
“Perché non dovrebbe?”
“Mah… i giovani d’oggi… chissà che cosa gli passerà per la
testa”
“Sono certa che continuerà l’attività di famiglia” sorrise
Jane, con la sua dentatura perfetta.
“…E comunque non ho importunato affatto” si intrufolò Cledis
nella conversazione “tu non c’eri e nessun’altro era in vista, mi è sembrata la
cosa più logica venire ad accogliere i nuovi ospiti. Mi hai insegnato tu come
si ricevono i nuovi clienti. L’ho fatto anche altre volte”
“Sei stato bravo Cledis” si complimentò il padre, dandogli
una carezza “Ora lascia fare a me. Ragazzi, le vostre stanze sono la 57 e la 58. Mio figlio vi aiuterà a
portare i bagagli nelle stanze.
“Molte grazie” rispose Jane, afferrando le chiavi.
Sembravano antiche, in ottone lavorato dorato.
Cledis afferrò le valigie di Mary e Jane.
“Se vuoi lasciare qui la tua”, disse rivolto a Tom “ritorno
appena appoggiate queste”
“Non preoccuparti, porto io la mia. Dopotutto devo mostrare
alla mia ragazza di essere forte e vigoroso”
Jane gli lanciò uno sguardo impettito, mentre Mary osservò
Tom e Cledis scambiarsi uno sguardo complice e guascone.
La stanza 57 era la matrimoniale. Jane e Tom sistemarono le
loro valigie all’interno. Si mossero per lasciare una mancia a Cledis, ma lui
rifiutò. Accompagnò Mary fino alla camera a fianco.
“Molte grazie” ringraziò la ragazzina.
“E’ stato un piacere” rispose facendole l’occhiolino. Mary
sentì le guance irrorarsi si rosso.
“Aspetta!” lo fermò, prima che uscisse. Lui si voltò a
guardarla con i suoi occhi azzurri. Grandi. Espressivi.
“Ti vedrò… più tardi?”
“Certo. Sono sempre qui in giro. Altrimenti chi manderebbe
avanti la baracca?”
Mary sorrise.
“È tornato fuori il sole. Potete approfittare per andare a
fare un giro al mare prima di pranzo. Qui si pranza dall’una, una e mezza in
poi. L’ho detto anche a tua sorella e il suo ragazzo”
“Ok, grazie mille!”
Cledis uscì, trascinandosi dietro la porta. Mary aprì la
valigia per cercare l’occorrente per andare al mare; indossò il costume,
afferrò la borsa mare e scese per la spiaggia privata dell’hotel.
Vi trovò già Jane e Tom beatamente accomodati sulle sedie
sdraio sotto l’ombrellone.
“Grazie per avermi aspettato, eh…” disse sarcasticamente,
stendendo il telo sullo sdraio libero.
“Spalmatiti la protezione alta. Sei bianca come un
latticino. E mettila anche sul viso!” disse Jane
alla sorella.
“Uffi, sei peggio della mamma! So perfettamente con quale
crema solare imbrattare la mia pelle”
“La mamma si è raccomandata di tenerti d’occhio. Però spero
vivamente di non doverti seguire come un segugio. Vorrei godermi la vacanza col
mio ragazzo”
“Ovvero, speri di fornicare ad ogni occasione utile…”
“Mary non essere volgare!! Prendi due sberle sai!”
“Ammetti, almeno, che è la verità”
“Non sono affari tuoi quello che faccio quando sono con Tom”
“Non c’è mica da vergognarsi. Lo farei anche io se avessi un
ragazzo”
Jane ebbe la tentazione di sputare una risposta al veleno,
ma si trattenne e tornò a rosolarsi al sole.
E fu già l’ora del pranzo. I ragazzi rientrarono nelle
rispettive stanze a rendersi presentabili per entrare in sala.
Un cameriere li accompagnò al loro tavolo e li invitò ad
assaggiare le verdure e le insalate di
mare a buffet messe a disposizione dalla direzione dell’hotel. Jane e Tom
approfittarono con entusiasmo. Mary preferì non prendere nulla ed aspettare il
primo.
Insalata di pasta e filetto di sogliola con salsa rosa era
il menu scelto dai ragazzi per il pranzo. Mary divorò la pasta fredda e attese
con trepidazione il pesce.
“Non trovate che questa salsa rosa abbia un sapore strano?”
disse dopo un paio di bocconi.
“Io la trovo ottima” disse Jane
“Sarà fatta col sangue. Sangue umano…” bisbigliò sibillino
Tom.
“Tom, non dirlo neanche per scherzo! Lo sai che Mary si
impressiona facilmente”
“In effetti, Tom potrebbe avere ragione. Ha questo
retrogusto dolciastro…”
“Ecco! Hai visto? E’ semplicemente un po’ agrodolce, Mary,
nulla di strano o horror”
“Sarà, ma non mi convince”
“Tutto bene?” chiese la voce del proprietario giunto alle
spalle della ragazzina
“Tutto perfetto, Sig. Klum, e tutto squisito” sorrise Jane
con la sua miglior espressione da Miss.
“Ne sono felice. Per concludere degnamente il pranzo oggi
abbiamo bavarese con purea di frutti bosco e panna come dessert”
I ragazzi annuirono entusiasti.
A metà della torta, Mary espresse di nuovo perplessità.
“A voi la salsa di frutti di bosco piace?”
“Si, perché?” chiese Tom.
“È strana… come la salsa rosa. Ha un sapere inquietante. Non
mi piace. Non la finisco!”
“Mary, non fare la bambina viziata! Finiscila! Non si butta
via il cibo!”
“Jane, questo cibo ha qualcosa di strano. L’hotel ha
qualcosa di strano. Per me conviene andarcene da un’altra parte”
“Ma sei fuori? Non ci penso neanche lontanamente. Questo è
un ottimo albergo e non ce ne andremo perché tu guardi troppi film horror”
“Perché non dai mai retta alle mie sensazioni? Sento di
avere ragione, perché mi snobbi sempre? Solo perché sono la più piccola?”
“Non è questo. È che lavori troppo di fantasia. Mamma e papà
lo dicono sempre”
“Beh, non venire a piangere da me quando il cuoco pazzo ti
rincorrerà per fare del roastbeef dei tuoi cosciotti”
“Ah, ah… divertente. Io non ho i cosciotti”
“Si che li hai. Sai miss perfezione, io non sarò bella e
magra quanto te, ma almeno non ho i fianchi sproporzionati e il sederone”
“Cosa?? Ma senti questa!!”
“In effetti”, si intromise Tom, “Mary ha un sedere notevole.
È più proporzionato del tuo al resto del corpo”
“Ah, si?”
“Visto, abbiamo il parere di un esperto”
“Beh, visto che ho un sedere così enorme, immagino che
l’esperto farà a meno del dopocena romantico che avevamo in programma stasera,
no? Un vero peccato…” Tom fece per replicare, ma Jane lo zittì alzando
l’indice. “e tu, signorina, finirai la torta per intero. Altrimenti chiamo a
casa, dico che stai facendo troppi capricci e ti faccio venire a prendere”
“Sei una dispotica signorina Rottermaier”
“E tu sta’ attenta al cuoco omicida”
Mary le fece la linguaccia, ma finì la torta e la purea
sospetta.
Dopo pranzo, Jane e Tom si ritirarono nelle loro stanza a
riposare, mentre Mary si mise in esplorazione dell’hotel.
Sembrava davvero un maniero antico: aveva una stanza col
camino, ovviamente spento, per sorseggiare liquori digestivi, una stanza dei
cimeli antichi tutti rigorosamente sotto vetro, un a biblioteca enorme e una
sala tutta tappezzata di quadri.
Mary si fermò a fissarli. Le piaceva molto osservare i
quadri e i volti in essi dipinti e cercare di immaginare le vite di quelle
persone morte da chissà quanto.
Li passò in rassegna uno ad uno fino a quando si fermò
davanti al ritratto di un giovane in primissimo piano. Dal colletto che si
intravedeva e dalla pettinatura sembrava vissuto nel ‘700. Guardandolo bene,
Mary si accorse che somigliava tantissimo a Cledis: stessi occhi azzurri,
stessi capelli castano dorato, stessa espressione facciale tra il serioso e lo
strafottente.
Proprio Cledis la raggiunse in contemplazione.
“Belli questi quadri, vero?”
“Moltissimo. Sono autentici?”
“Certo. Qui è tutto d’epoca, conservato con le migliori cure
perché il tempo non le deteriori”
“Sai, io adoro queste stanze piene di quadri, mi diverto a
immaginare la vita e le storie di coloro che vi sono dipinti”
“Questo cosa ti suggerisce?” chiese Cledis riferendosi al
dipinto di fronte a loro, quello che gli somigliava come una fotografia.
“Beh, questo dev’essere un tuo illustre antenato. Ti
somiglia come una goccia d’acqua” Mary si avvicinò e lesse la targhetta in
ottone con il nome del ritratto. “Cledis Klum. Visto, si chiama come te”
“In famiglia sono l’unico a chiamarsi Cledis. Non ce ne sono
altri”
“Ma che dici, questo si chiama come te. E non puoi essere
tu. Sarà stato dipinto almeno trecento anni fa…”
“Infatti, hai un ottimo spirito di osservazione…” lasciò in
sospeso il ragazzo con un sorriso enigmatico sul volto.
Mary lo guardò perplessa.
Notò due puntine bianche spuntargli da sotto il labbro
superiore.
La ragazzina trasalì.
“Sei un vampiro!!” gridò spingendolo lontano da lei e
correndo via.
Cledis, colto alla sprovvista, cadde a terra urtando un
mobile lì vicino.
Mary corse a rotta di collo fino alla camera della sorella.
“Jane!! Jane!! Apri per favore!!” urlò bussando disperata
alla porta “Jane!!!”
“Ehi, ma che c’è? Fai piano che è l’ora del riposo” le
rispose la sorella aprendo. La ragazzina si fiondò all’interno.
“Jane dobbiamo andare via! Ci uccideranno se rimaniamo qui”
“Ma che dici? Ti sei fumata una canna?”
“No, Jane, ascolta… so che non mi credi, ma… sono vampiri!
Ci succhieranno come ghiaccioli in estate e ci uccideranno! Dobbiamo andare via
di qui subito!”
“Vampiri? Chi?”
“Cledis, il figlio, ho visto i suoi canini. Ne deduco che
anche i suoi lo siano e forse anche tutto il personale dell’hotel”
“Anche se fosse, e non lo è, cosa ti fa credere che ci
mangeranno, o altro? Sei stata forse aggredita?”
“Non gliene ho dato modo. L’ho spinto via prima che potesse
fare qualunque cosa. Forse pensava che fossi una ragazzina senza nervo. Ha
trovato pane per i suoi denti”
“Mary, ora calmati e rifletti: non è possibile che ti abbia
fatto un scherzo e che si fosse messo dei denti finti”
“Erano veri, te lo assicuro”
“Mary, non è possibile…”
“Si, invece! Perché non mi credi?”
“I vampiri non sono reali”
“Questo lo dici tu! Solo perché non ne hai mai avuto uno
davanti non significa che non esistano”
“Ma ragiona! Sono frutto di immaginazione letteraria e
popolare!”
“Perché non mi credi? Ti hanno forse già morsa?” la accusò
Mary, tentando di scostarle il colletto alto della sua camicia da camera.
“Ma che fai?! Sei matta, mi aggredisci?!” rispose Jane
mettendosi a posto il colletto. Sul suo collo non c’erano segni di morsi o
altro.
“Scusa… pensavo ti avessero azzannato al collo e trasformata
in una di loro…”
“Tu sei fuori di testa. Adesso chiamo mamma e papà” disse
Jane afferrando il telefono.
“No! Se li fai venire qui uccideranno anche loro!!”
“Mary, nessuno ucciderà nessuno, qui. Siamo in vacanza in un
rispettabilissimo hotel a 4 stelle. Cosa ti manca per essere tranquilla e felice?”
“Jane devi credermi, sono vampiri…” pigolò Mary con le
lacrime agli occhi.
“Già, perché tu cosa pensi di essere?” Jane appoggiò il
telefono sul letto
“Cosa? Cosa hai detto?”
“Jane…” bisbigliò Tom, mai uscito dalla stanza, e spettatore
silenzioso del diverbio tra le sorelle
“Prima o poi lo dovrà sapere, Tom…”
“Sapere cosa…?”
“Anche tu sei un vampiro. Qui siamo tutti vampiri, facciamo
parte di una comunità di vampiri. Mamma e papà non ti hanno mai detto niente
perché avevano paura di urtare la tua sensibilità. Non trovavano mai il momento
giusto. Beh, ora l’ho trovato io. Era ora che lo sapessi. Così, forse… vivrai
con più serenità i cambiamenti che ormai sono imminenti”
“Cosa… quali cambiamenti?
“I canini, la vista che si acutizza al massimo, l’udito sopraffino,
il fiuto finissimo…”
“Così siamo tutti vampiri…”
“Già… Vuoi che chiamo la mamma? Vuoi parlare con lei?” le
chiese Jane, accarezzandole i capelli
“No… non… non occorre. Non disturbarla… Vado via”
“Dove vai?”
“Andrò a cercare Cledis per scusarmi. Dopotutto l’ho colpito
senza motivo”
“Beh, è stato solo istinto di conservazione”
“Ma è stato lo stesso maleducato il mio gesto”
“Ok, d’accordo. Andiamo in spiaggia quando torni?”
“Si, va bene. Mi aspettate?”
“Certo. E oggi avrai un mega gelato come merenda”
“Allora c’era davvero sangue umano nella salsa rosa e in
quella di frutti di bosco…”
“Mary… non so se fosse umano, ma si… era sangue. Dobbiamo
assumerlo giornalmente per sopravvivere al meglio”
“Perché a casa non me ne sono mai accorta?”
“Perché la mamma è una brava cuoca”
“Oh, è vero”
Jane sorrise e anche Mary. Si abbracciarono. Come due buone
sorelle.
Fine