Un guest post di Romina Tamerici.
Il dedalo delle storie
Salve a tutti voi, lettori di "Word in progress", sono Romina Tamerici, forse qualcuno di voi mi conoscerà per via del blog di scrittura che porta il mio nome, oppure per vari forum e blog in cui la mia zizzaniante presenza si manifesta. Se invece non mi conoscete, potete leggere qualcosa su di me nel mio blog.
Oggi sono qui, su invito di Valentina, per parlarvi del mio secondo blog, "Il dedalo delle storie".
In realtà non è un blog come quelli a cui siamo abituati, in cui il gestore posta i suoi post e parla di alcuni argomenti. "Il dedalo delle storie" è invece un luogo in cui scrivere tutti insieme (anche se poi i post li metto io). L'idea di base è semplice: c'è un incipit e chi scrive può continuarlo come vuole. Un sistema di link rende possibile seguire i vari filoni della storia, scegliendo tra le alternative possibili.
Come potete vedere in questa immagine, sotto l'incipit ci sono le possibilità tra le quali scegliere e l'invito a scrivere altre se queste non vi convincono. Nelle parti successive all'incipit c'è anche la possibilità di tornare indietro per riscrivere una parte che non ci è piaciuta o cambiare il corso degli eventi.
Il dedalo ha solo due settimane di vita (è nato il giorno di Ferragosto) e ci sono già venticinque post (cioè venticinque parti di storia). Al momento i costruttori del dedalo sono solo otto, ma è anche per questo che sono qui! Se vi va di partecipare è molto semplice e il bello è che potete intervenire in qualsiasi momento, senza vincoli, tranne il limite di 500 parole per ogni parte.
Se vi va di passare, fate un salto a vederele regole e poi andate a leggere l'incipit. Troverete quattro filoni già ben arrivati. Potrete fare la vostra conoscenza con una ragazza alle prese con tarocchi e fiabe della sua infanzia, con un morto alla ricerca del suo nome (che forse poi tanto morto non è), con una tigre un po' troppo pensante e riflessiva e con un investigatore privato e la sua assistente poco umana. Ovviamente potrete proseguire queste storie o avviarne di nuove. Io sono pronta a farmi sorprendere, quindi spero voi siate pronti a sorprendermi!
Ringrazio ancora Valentina per lo spazio che qui mi ha offerto e voi che avete letto il post.
Ovviamente, se avete domande da farmi potete farmele nei commenti qui sotto, oppure potete scrivermi una mail all'indirizzo dedicato a "Il dedalo delle storie": ildedalodellestorie@yahoo.it
E ora, che dire? Vi aspetto nel labirinto delle storie!
sabato 31 agosto 2013
venerdì 30 agosto 2013
Word in progress… ?
Ciao,
questo post è la continuazione di Sine nomine di lunedì 26/08.
Succede che… no, non voglio prenderla alla lontana. Il punto è questo:
mi serve una pausa.
Mi serve una pausa dal blog Word in Progress.
Non fraintendetemi, non è che voglio smettere di pubblicarvi post, però
ho bisogno di ritrovare la passione che avevo all’inizio, di ritrovare la
voglia di scrivere e pubblicare qualcosa di bello.
In questo momento lo sento più un obbligo e questa cosa non mi piace,
non mi si addice, non è giusta per questo blog.
Diciamocelo chiaramente: scrivere e seguire un blog come si deve è
un lavoro. Un vero lavoro.
Serve tempo, dedizione, ricerca per tenerlo aggiornato quotidianamente
e cercare di renderlo sempre interessante. Io tutto questo tempo non ce l’ho.
Se va bene potrei riuscire a pubblicare contenuti una volta a settimana, forse
due, in uno stato di grazia… anche tre volte in una settimana, ma stiamo
parlando di un evento raro.
Io non posso e non me la sento di garantire una presenza fissa, anche perché
poi non mi piace deludere le attese e non mantenere gli impegni presi. Se lo
facessi, poi, per qualche motivo non riuscissi a rispettare le scadenze per me
sarebbe fonte di profonda frustrazione e non riuscirei più a scrivere come
vorrei.
Non riesco a trovare buona ispirazione se ho una deadline da rispettare
che mi fiata sul collo, mi sento soffocare, non ce la faccio… perché scrivere
il blog dovrebbe essere un piacere e non un dovere. I doveri li ho già nel mio
lavoro, non me ne servono altri.
Per questo ho voglia e bisogno di prendermi una pausa per raccogliere
le idee e tornare a scrivere con i fasti
di un tempo. Non so quanto durerà. Potrebbe venirmi l’idea per un post domani e
scriverlo, o fra un mese. Non voglio darmi un termine, ma non voglio neanche
che sia un tempo infinito.
Tornerò a scrivere, spero regolarmente, sul blog, ma… per adesso dico
stop.
Abbasso il sipario, spengo le luci e vi do appuntamento in un punto
indecifrato del futuro.
Inchino.
Arrivederci.
Chiara :-)
giovedì 29 agosto 2013
WebStories ∞ Anima perduta
Per la rubrica WebStories vi ripropongo il raccontino che ho scritto per il contest PIEMME Freeway #estatecoilibri, categoria #fantasy, con un invito a visitare questo link e leggere anche gli altri racconti: http://on.fb.me/1a08nmW
Anima perduta
Anima perduta
“Il giorno più brutto della mia vita fu quando persi le ali e precipitai sulla Terra. Ero brava nel mio lavoro e mi piaceva fare l'Angelo Custode. Era tutta la mia vita, la mia missione. Se solo non avessi infranto la regola della non-ingerenza con i destini umani! Eppure di ciò che ho fatto non mi pento. È vero, noi Angeli dobbiamo limitarci ad osservare e a guidare il nostro protetto affinché non smarrisca la diritta via; un segno, un suggerimento, nulla più. Io compresi il suo dolore e usai il mio potere per mandargli un sogno. Avevo infranto le regole e mi bandirono dal Paradiso. Non fu tanto il dolore di perdere le Ali ed essere scacciata a farmi sanguinare il cuore, quanto la consapevolezza di non avere più uno scopo nella vita. Un'anima perduta tra le anime smarrite.„
lunedì 26 agosto 2013
Sine nomine
Lo specchio è lì, lucido, freddo, impassibile. Riflette la mia figura.
Mi guarda.
Io, mi guardo dentro i miei occhi nel riflesso.
Mi scuote un singhiozzo di pianto. La mia immagine rimane lì immobile, mi guarda feroce.
E' arrabbiata con me.
Io sono arrabbiata con me stessa.
"Perchè?" Mi chiede, mi chiedo.
"Devo farlo..." Il mio è un sussurro strozzato. Faccio fatica a parlare perchè il piangere mi ha gonfiato la gola.
"Non può non esserci una ragione! Deve esserci un motivo!" Il mio riflesso mi abbaia contro dall'interno dello specchio. La sua voce è metallica, rimbomba, sembra che si espanda dentro cerchi concentrici su uno specchio d'acqua.
"Lo sai perchè. Tu... sei me."
"No. Non lo so. Non ti capisco."
"Non ce la faccio! Non è più come un tempo!"
Distolgo gli occhi, non riesco a sopportare il mio sguardo riflesso che mi processa, mi giudica e mi condanna senza appello.
"Voglio che tu mi dica perchè! Dammi una sola ragione!"
"Di ragioni te ne posso dare anche più di una, ma... la verità è che ormai ho deciso e non posso tornare indietro."
"Certo che puoi! Solo la morte è per sempre!"
"No... devo farlo. Ho bisogno di farlo. Non ce la faccio più a sentirmi così!" I miei occhi tornano a incrociare il mio riflesso.
"Che cosa è cambiato?"
"Soprattutto io. Non sento più la luce della passione. Non c'è più la scintilla...!"
"Si è solo un pò assopita. Non puoi..."
"No! Devo farlo! Non tornerà se vado avanti così. Devo... Ho bisogno di farlo..."
"... Così vuoi dire addio per sempre...?"
Il respiro mi si blocca nei polmoni. Vedo il mio riflesso abbassare lo sguardo e affievolirsi.
Vorrei parlare, ma le parole mi muoiono in gola come cerini che non hanno ossigeno per bruciare.
"... Quindi, finisce così...?" Mi sussurra il mio riflesso, prima di scomparire nello specchio.
Sto per replicare, ma non lo faccio.
La solitudine mi avvolge. E ricado nel baratro dei miei dubbi.
... CONTINUA ...
Mi guarda.
Io, mi guardo dentro i miei occhi nel riflesso.
Mi scuote un singhiozzo di pianto. La mia immagine rimane lì immobile, mi guarda feroce.
E' arrabbiata con me.
Io sono arrabbiata con me stessa.
"Perchè?" Mi chiede, mi chiedo.
"Devo farlo..." Il mio è un sussurro strozzato. Faccio fatica a parlare perchè il piangere mi ha gonfiato la gola.
"Non può non esserci una ragione! Deve esserci un motivo!" Il mio riflesso mi abbaia contro dall'interno dello specchio. La sua voce è metallica, rimbomba, sembra che si espanda dentro cerchi concentrici su uno specchio d'acqua.
"Lo sai perchè. Tu... sei me."
"No. Non lo so. Non ti capisco."
"Non ce la faccio! Non è più come un tempo!"
Distolgo gli occhi, non riesco a sopportare il mio sguardo riflesso che mi processa, mi giudica e mi condanna senza appello.
"Voglio che tu mi dica perchè! Dammi una sola ragione!"
"Di ragioni te ne posso dare anche più di una, ma... la verità è che ormai ho deciso e non posso tornare indietro."
"Certo che puoi! Solo la morte è per sempre!"
"No... devo farlo. Ho bisogno di farlo. Non ce la faccio più a sentirmi così!" I miei occhi tornano a incrociare il mio riflesso.
"Che cosa è cambiato?"
"Soprattutto io. Non sento più la luce della passione. Non c'è più la scintilla...!"
"Si è solo un pò assopita. Non puoi..."
"No! Devo farlo! Non tornerà se vado avanti così. Devo... Ho bisogno di farlo..."
"... Così vuoi dire addio per sempre...?"
Il respiro mi si blocca nei polmoni. Vedo il mio riflesso abbassare lo sguardo e affievolirsi.
Vorrei parlare, ma le parole mi muoiono in gola come cerini che non hanno ossigeno per bruciare.
"... Quindi, finisce così...?" Mi sussurra il mio riflesso, prima di scomparire nello specchio.
Sto per replicare, ma non lo faccio.
La solitudine mi avvolge. E ricado nel baratro dei miei dubbi.
... CONTINUA ...
giovedì 22 agosto 2013
La parola del giorno: fauci
Ciao!
La parola di oggi è... rullo di tamburi... fauci!
Per due ragioni: 1) perchè è parte integrante di una gag venuta fuori con alcuni colleghi dell'ufficio che non rivelerò, portandomi il segreto nella tomba e 2) è una parola potente, come suono, come idea.
La prima cosa che mi rievoca è un'immagine horror con qualche mostro gigante, o persona mutata geneticamente.
Ha un che di ancestrale, mi ricorda, anche, belve della foresta, della savana, animali preistorici, forza della natura in tutta la sua potenza.
Significativo è anche il modo di dire: cadere nelle fauci, o nelle grinfie, di qualcuno. Il significato è più o meno lo stesso, ma cambia leggermente la sfumatura del concetto, secondo me. Mentre cadere nelle grinfie mi dà l'idea della strega delle favole che cattura il bimbetto di turno, cadere nelle fauci mi fa pensare a una circuizione di tipo più profondo a livello psicologico, proprio come cadere nella tela di un ragno e non riuscire ad uscirne più.
Nonostante tutto questo, la parola fauci non mi rimanda un'idea negativa di se stessa, quanto più di potere, di stare al di sopra di tutti (io ho le fauci e voi no! Uahahahahahahaha!!), un senso di onnipotenza.
Non so, forse è un delirio di questi giorni, causa overload del mio cervello :-o!!
No, dai, non sono messa così male, anche se... le sirene delle ferie cominciano a farsi sentire.
Alla prossima!!
La parola di oggi è... rullo di tamburi... fauci!
Per due ragioni: 1) perchè è parte integrante di una gag venuta fuori con alcuni colleghi dell'ufficio che non rivelerò, portandomi il segreto nella tomba e 2) è una parola potente, come suono, come idea.
La prima cosa che mi rievoca è un'immagine horror con qualche mostro gigante, o persona mutata geneticamente.
Ha un che di ancestrale, mi ricorda, anche, belve della foresta, della savana, animali preistorici, forza della natura in tutta la sua potenza.
Significativo è anche il modo di dire: cadere nelle fauci, o nelle grinfie, di qualcuno. Il significato è più o meno lo stesso, ma cambia leggermente la sfumatura del concetto, secondo me. Mentre cadere nelle grinfie mi dà l'idea della strega delle favole che cattura il bimbetto di turno, cadere nelle fauci mi fa pensare a una circuizione di tipo più profondo a livello psicologico, proprio come cadere nella tela di un ragno e non riuscire ad uscirne più.
Nonostante tutto questo, la parola fauci non mi rimanda un'idea negativa di se stessa, quanto più di potere, di stare al di sopra di tutti (io ho le fauci e voi no! Uahahahahahahaha!!), un senso di onnipotenza.
Non so, forse è un delirio di questi giorni, causa overload del mio cervello :-o!!
No, dai, non sono messa così male, anche se... le sirene delle ferie cominciano a farsi sentire.
Alla prossima!!
mercoledì 21 agosto 2013
Web Stories ∞ Chilam Balam (pt.5)
Seguivo il mio uomo a prudente distanza lungo il sentiero, ben attento a non farmi notare. La salita era ripida e faticosa, ma la mia volontà di procedere era più forte. Quella mattina mi ero alzato di buon’ora e mi ero appostato ad un angolo della piazza con la precisa intenzione di attendere Kukulkàn al varco. Qualunque cosa avesse in mente, qualunque cosa avesse intenzione di fare, io sarei stato la sua ombra. Non gli avrei permesso di dileguarsi nuovamente. Lo avrei seguito con discrezione e, solo al momento giusto, avrei rivelato la mia presenza. Indossavo un giaccone scuro che un precedente inquilino aveva dimenticato nella stanza dove alloggiavo. La fortuna sembrava avesse deciso di restarmi accanto: con quel giaccone addosso avrei meglio potuto nascondermi ai suoi occhi. Non dovetti attendere molto: nemmeno mezz’ora e il portone verde si spalancò e quel viso apparve sulla soglia. Eccolo. Era proprio lui, Kukulkàn o come diavolo si chiamava. Lo vidi esitare qualche secondo, guardarsi in giro e, dopo essersi sollevato il cappuccio sul capo, incamminarsi. Io gli tenni dietro.
Prese la strada che, uscendo dal paese, portava (a quanto dicevano le indicazioni) al sito archeologico. Mi unii ad un gruppo di turisti che aveva la stessa meta: così mescolato ad un gruppo di persone avrei dato meno nell’occhio. Il sentiero prese a salire sempre più ripidamente. La fatica dopo un po’ cominciò a farsi sentire, ma il mio uomo continuava a procedere di buon passo, senza dare alcun segno di incertezza, ed io non potevo essergli da meno. Per fortuna anche buona parte dei turisti ai quali mi ero unito riusciva a tenere un buon passo, per cui potevo continuare a rimanere nel gruppo.
Finalmente, dopo una curva, apparve in tutta la sua magnificenza la leggendaria piramide a gradoni che fu la tomba di Pacal il grande! Rimasi a bocca spalancata per un tempo indefinibile. Tutt’attorno la vegetazione non faceva altro che esaltarne le bellezza. La piramide era un vero capolavoro di ingegneria ed era davvero difficile credere che i Maya fossero stati in grado di idearla e realizzarla, in epoche così remote. Ma la piramide non era tutto. La visione dell’enorme palazzo reale, o di quello che ne restava, mi affascinava. Come avevo potuto vivere per tanti anni senza rendermi effettivamente conto della grandiosità degli antichi abitanti del Messico?
Mi ripresi da quell’attimo di sbalordimento appena in tempo per notare che il mio uomo stava proseguendo, ignorando completamente le rovine dell’antica città di Palenque. Il gruppo di turisti che mi faceva da copertura aveva iniziato a scattare foto: sembrava che non avessero la minima intenzione di proseguire. Non potevo attendere ulteriormente, anche a costo di rivelare la mia presenza, e mi affrettai nella direzione che Kukulkàn aveva preso. Oltrepassò la zona archeologica apparentemente sicuro di quello che stava facendo. Improvvisamente abbandonò il sentiero e si immerse nella vegetazione. Raggiunsi il punto dove lo avevo visto sparire: un muro impenetrabile di verde. Dovevo decidere in fretta: continuare a seguirlo o abbandonare la mia idea? Ancora pochi attimi e lo avrei perso completamente. Decisi di continuare. Che avevo da perdere? Per mia fortuna i segni del suo passaggio erano netti. Il verde era talmente fitto che era praticamente impossibile non lasciare tracce. Procedetti quindi con prudenza: sicuramente non mi poteva vedere, ma senz’altro mi poteva sentire. Continuai per diverse centinaia di metri attraverso un luogo che probabilmente mai prima di allora era stato calpestato da piede umano. Di tanto in tanto mi fermavo ad ascoltare. Nessun rumore giungeva alle mie orecchie. Kukulkàn probabilmente mi stava seminando. Per un attimo temetti di non riuscire più ad uscire da quel labirinto naturale che mi circondava ma, mentre già mi vedevo perduto, improvvisamente il muro di vegetazione terminò, e la mia vista poté spaziare su un panorama grandioso: avevo in qualche modo raggiunto una parete a strapiombo, sotto di me centinaia di metri di roccia. Mi bloccai appena in tempo. Sentii un rumore giungere da pochi metri più in là. Mi affacciai prudentemente: un piccolo e quasi invisibile sentiero portava da dove mi trovavo ad un piccolo cornicione di roccia dove Kukulkàn si era fermato, con lo sguardo fisso verso la parete di roccia, quasi in contemplazione, o forse indeciso sul da farsi. Trascorsero così una decina di minuti poi, improvvisamente, lo vidi muovere qualche passo in avanti, finché non scomparve ai miei occhi.
Con tutto il coraggio che avevo mi mossi e discesi lungo il pericoloso sentiero. Quello che vidi mi lasciò esterrefatto: c’era un varco nella parete, ma non una semplice grotta… era una… porta! Un’apertura perfettamente squadrata, lungo il cui perimetro si potevano osservare bassorilievi appartenenti alla stessa epoca alla quale appartenevano le rovine di Palenque. Non poteva che essere un manufatto Maya, forse l’ingresso di un tempio dimenticato e mai venuto alla luce. Mi guardai attorno: da nessuna posizione, dalla valle o dalle montagne oltre la valle, nemmeno con un buon binocolo, questo luogo poteva essere notato. Il luogo segreto perfetto! All’interno della soglia partiva un lungo e buio corridoio. Massi squadrati tutt’attorno mi fecero pensare che all’interno ci fosse molto di più di quanto potessi immaginare.
Raccolsi tutto il mio coraggio e mi avventurai nelle viscere della montagna, seguendo il percorso che uomini secoli prima di me avevano tracciato. Solo pochi metri dopo il buio era già impenetrabile. Mi fermai per un attimo, indeciso sul da farsi, ma il coraggio mi ritornò quando vidi un leggero chiarore in lontananza. Kukulkàn, che mi aveva preceduto, aveva evidentemente una torcia con sé. Non mi rimaneva che accorciare la distanza che si separava ed utilizzare quel vago chiarore come guida. Così feci. Camminai con passo leggero per non so quanto tempo. Di tanto in tanto avevo l’impressione che il mio uomo si fermasse. Più volte temetti di aver tradito la mia presenza, ed altrettante volte tirai un sospiro di sollievo al vedere che nulla accadeva.
Infine accadde. Mio Dio! L’orrore indicibile di cui miei occhi furono testimoni fu oltre il limite della sopportazione umana. Leggendo le pagine di questo diario qualcuno penserà si tratti solo dell’immaginazione di un folle, ma io so che non è così. Quello che apparve ai miei occhi una volta uscito dalla parte opposta fu un mondo che non avevo mai visto prima. Nonostante l’orologio al mio polso mi confermasse che non era nemmeno mezzogiorno, tutto intorno a me era buio. Un’immensa volta stellata illuminava leggermente il paesaggio brullo. Una pianura rocciosa si stendeva di fronte a me fino all’orizzonte. Il mio sguardo si soffermò sulle stelle: sebbene molte volte nella mia vita mi fossi dedicato all’osservazione del cielo, non riconoscevo nessuna di quelle costellazioni. Com’era possibile? Un chiarore alla mia destra attirò la mia attenzione: da dietro le mie spalle sopravanzava velocemente un enorme globo azzurro, grande almeno dieci volte la nostra luna, un impressionante pianeta circondato da una serie infinita di anelli. Fu allora che mi accorsi di non riuscire a respirare. L’aria, mi mancava l’aria! Guardai in basso e fu allora che notai…. un serpente! Mi guardava con occhi di fuoco; sollevò leggermente la testa, aprì la bocca ed emise un suono, una voce. E quella voce disse: - Vattene, ragazzo!
Non so come riuscii a fuggire. Mi voltai e corsi, corsi, corsi con quanto fiato avevo in gola. E mentre correvo un rumore fragoroso alle mie spalle mi avvertiva che tutto stava crollando.
Mi ritrovai non so come nella mia stanza, qui alla locanda, dove mi trovo ora cercando di finire di scrivere queste poche righe prima che la morte sopraggiunga. Io stesso non sono certo della mia sanità mentale, ma quello che vedo adesso, quando mi guardo allo specchio, è per me la prova tangibile che qualcosa di inspiegabile è avvenuto. Mi chiamo Manuel Mendoza e ho 23 anni, ma il volto che mi restituisce lo specchio è quello di un uomo che dimostra almeno cent’anni. Non ho idea di come ciò sia potuto succedere. Potrei solo azzardare delle ipotesi, sulla base di quelle poche conoscenze scientifiche di cui dispongo: quella soglia poteva essere il passaggio verso un mondo lontano, in termini di spazio o in termini di tempo, non lo so. Quello che so, che sento, è che la mia fine è vicina. Domani qualcuno entrerà in questa stanza e troverà il mio corpo senza vita. Forse quel qualcuno leggerà il mio diario… forse…..
Una folata di vento entrò dalla finestra, attraversò la stanza, e aprì le pagine di un libro appoggiato sul comodino. Un eventuale osservatore ora avrebbe potuto leggere le seguenti parole: “Kukulkàn, strettamente associato con Venere, la stella del mattino, è il nome che i Maya davano al dio Serpente. La mitologia narra che attraverso lo spirito di questo dio gli antenati ricevettero il sapere. Un giorno Kukulkàn lasciò la sua gente per intraprendere un viaggio verso i luoghi dai quali proveniva: prima di andare promise che sarebbe tornato.”
FINE
By Obsidian M.. L'autore propone anche un interessante Making Of, che v'invitiamo a leggere direttamente sul suo blog seguendo il link.
Ancora un caloroso grazie a Obsidian M. per aver condiviso con noi di Word in Progress questa sua bella avventura!
Prese la strada che, uscendo dal paese, portava (a quanto dicevano le indicazioni) al sito archeologico. Mi unii ad un gruppo di turisti che aveva la stessa meta: così mescolato ad un gruppo di persone avrei dato meno nell’occhio. Il sentiero prese a salire sempre più ripidamente. La fatica dopo un po’ cominciò a farsi sentire, ma il mio uomo continuava a procedere di buon passo, senza dare alcun segno di incertezza, ed io non potevo essergli da meno. Per fortuna anche buona parte dei turisti ai quali mi ero unito riusciva a tenere un buon passo, per cui potevo continuare a rimanere nel gruppo.
Finalmente, dopo una curva, apparve in tutta la sua magnificenza la leggendaria piramide a gradoni che fu la tomba di Pacal il grande! Rimasi a bocca spalancata per un tempo indefinibile. Tutt’attorno la vegetazione non faceva altro che esaltarne le bellezza. La piramide era un vero capolavoro di ingegneria ed era davvero difficile credere che i Maya fossero stati in grado di idearla e realizzarla, in epoche così remote. Ma la piramide non era tutto. La visione dell’enorme palazzo reale, o di quello che ne restava, mi affascinava. Come avevo potuto vivere per tanti anni senza rendermi effettivamente conto della grandiosità degli antichi abitanti del Messico?
Mi ripresi da quell’attimo di sbalordimento appena in tempo per notare che il mio uomo stava proseguendo, ignorando completamente le rovine dell’antica città di Palenque. Il gruppo di turisti che mi faceva da copertura aveva iniziato a scattare foto: sembrava che non avessero la minima intenzione di proseguire. Non potevo attendere ulteriormente, anche a costo di rivelare la mia presenza, e mi affrettai nella direzione che Kukulkàn aveva preso. Oltrepassò la zona archeologica apparentemente sicuro di quello che stava facendo. Improvvisamente abbandonò il sentiero e si immerse nella vegetazione. Raggiunsi il punto dove lo avevo visto sparire: un muro impenetrabile di verde. Dovevo decidere in fretta: continuare a seguirlo o abbandonare la mia idea? Ancora pochi attimi e lo avrei perso completamente. Decisi di continuare. Che avevo da perdere? Per mia fortuna i segni del suo passaggio erano netti. Il verde era talmente fitto che era praticamente impossibile non lasciare tracce. Procedetti quindi con prudenza: sicuramente non mi poteva vedere, ma senz’altro mi poteva sentire. Continuai per diverse centinaia di metri attraverso un luogo che probabilmente mai prima di allora era stato calpestato da piede umano. Di tanto in tanto mi fermavo ad ascoltare. Nessun rumore giungeva alle mie orecchie. Kukulkàn probabilmente mi stava seminando. Per un attimo temetti di non riuscire più ad uscire da quel labirinto naturale che mi circondava ma, mentre già mi vedevo perduto, improvvisamente il muro di vegetazione terminò, e la mia vista poté spaziare su un panorama grandioso: avevo in qualche modo raggiunto una parete a strapiombo, sotto di me centinaia di metri di roccia. Mi bloccai appena in tempo. Sentii un rumore giungere da pochi metri più in là. Mi affacciai prudentemente: un piccolo e quasi invisibile sentiero portava da dove mi trovavo ad un piccolo cornicione di roccia dove Kukulkàn si era fermato, con lo sguardo fisso verso la parete di roccia, quasi in contemplazione, o forse indeciso sul da farsi. Trascorsero così una decina di minuti poi, improvvisamente, lo vidi muovere qualche passo in avanti, finché non scomparve ai miei occhi.
Con tutto il coraggio che avevo mi mossi e discesi lungo il pericoloso sentiero. Quello che vidi mi lasciò esterrefatto: c’era un varco nella parete, ma non una semplice grotta… era una… porta! Un’apertura perfettamente squadrata, lungo il cui perimetro si potevano osservare bassorilievi appartenenti alla stessa epoca alla quale appartenevano le rovine di Palenque. Non poteva che essere un manufatto Maya, forse l’ingresso di un tempio dimenticato e mai venuto alla luce. Mi guardai attorno: da nessuna posizione, dalla valle o dalle montagne oltre la valle, nemmeno con un buon binocolo, questo luogo poteva essere notato. Il luogo segreto perfetto! All’interno della soglia partiva un lungo e buio corridoio. Massi squadrati tutt’attorno mi fecero pensare che all’interno ci fosse molto di più di quanto potessi immaginare.
Raccolsi tutto il mio coraggio e mi avventurai nelle viscere della montagna, seguendo il percorso che uomini secoli prima di me avevano tracciato. Solo pochi metri dopo il buio era già impenetrabile. Mi fermai per un attimo, indeciso sul da farsi, ma il coraggio mi ritornò quando vidi un leggero chiarore in lontananza. Kukulkàn, che mi aveva preceduto, aveva evidentemente una torcia con sé. Non mi rimaneva che accorciare la distanza che si separava ed utilizzare quel vago chiarore come guida. Così feci. Camminai con passo leggero per non so quanto tempo. Di tanto in tanto avevo l’impressione che il mio uomo si fermasse. Più volte temetti di aver tradito la mia presenza, ed altrettante volte tirai un sospiro di sollievo al vedere che nulla accadeva.
Infine accadde. Mio Dio! L’orrore indicibile di cui miei occhi furono testimoni fu oltre il limite della sopportazione umana. Leggendo le pagine di questo diario qualcuno penserà si tratti solo dell’immaginazione di un folle, ma io so che non è così. Quello che apparve ai miei occhi una volta uscito dalla parte opposta fu un mondo che non avevo mai visto prima. Nonostante l’orologio al mio polso mi confermasse che non era nemmeno mezzogiorno, tutto intorno a me era buio. Un’immensa volta stellata illuminava leggermente il paesaggio brullo. Una pianura rocciosa si stendeva di fronte a me fino all’orizzonte. Il mio sguardo si soffermò sulle stelle: sebbene molte volte nella mia vita mi fossi dedicato all’osservazione del cielo, non riconoscevo nessuna di quelle costellazioni. Com’era possibile? Un chiarore alla mia destra attirò la mia attenzione: da dietro le mie spalle sopravanzava velocemente un enorme globo azzurro, grande almeno dieci volte la nostra luna, un impressionante pianeta circondato da una serie infinita di anelli. Fu allora che mi accorsi di non riuscire a respirare. L’aria, mi mancava l’aria! Guardai in basso e fu allora che notai…. un serpente! Mi guardava con occhi di fuoco; sollevò leggermente la testa, aprì la bocca ed emise un suono, una voce. E quella voce disse: - Vattene, ragazzo!
Non so come riuscii a fuggire. Mi voltai e corsi, corsi, corsi con quanto fiato avevo in gola. E mentre correvo un rumore fragoroso alle mie spalle mi avvertiva che tutto stava crollando.
Mi ritrovai non so come nella mia stanza, qui alla locanda, dove mi trovo ora cercando di finire di scrivere queste poche righe prima che la morte sopraggiunga. Io stesso non sono certo della mia sanità mentale, ma quello che vedo adesso, quando mi guardo allo specchio, è per me la prova tangibile che qualcosa di inspiegabile è avvenuto. Mi chiamo Manuel Mendoza e ho 23 anni, ma il volto che mi restituisce lo specchio è quello di un uomo che dimostra almeno cent’anni. Non ho idea di come ciò sia potuto succedere. Potrei solo azzardare delle ipotesi, sulla base di quelle poche conoscenze scientifiche di cui dispongo: quella soglia poteva essere il passaggio verso un mondo lontano, in termini di spazio o in termini di tempo, non lo so. Quello che so, che sento, è che la mia fine è vicina. Domani qualcuno entrerà in questa stanza e troverà il mio corpo senza vita. Forse quel qualcuno leggerà il mio diario… forse…..
Una folata di vento entrò dalla finestra, attraversò la stanza, e aprì le pagine di un libro appoggiato sul comodino. Un eventuale osservatore ora avrebbe potuto leggere le seguenti parole: “Kukulkàn, strettamente associato con Venere, la stella del mattino, è il nome che i Maya davano al dio Serpente. La mitologia narra che attraverso lo spirito di questo dio gli antenati ricevettero il sapere. Un giorno Kukulkàn lasciò la sua gente per intraprendere un viaggio verso i luoghi dai quali proveniva: prima di andare promise che sarebbe tornato.”
FINE
By Obsidian M.. L'autore propone anche un interessante Making Of, che v'invitiamo a leggere direttamente sul suo blog seguendo il link.
Ancora un caloroso grazie a Obsidian M. per aver condiviso con noi di Word in Progress questa sua bella avventura!
martedì 20 agosto 2013
e-Shelf: letture d'estate
Che andiate al mare oppure in montagna, non dovete assolutamente dimenticare di portare con voi dei libri da leggere!
...e non protestate che pesano in valigia, perché adesso ci sono gli e-reader; un'intera biblioteca a portata di tasca!
Oggi vi propongo due ebook esordienti, uno self-pub e l'altro edito da libro/mania.
Mi sono piaciute come letture e poi così faccio un po' di promozione a due giovani colleghe. ;)
Prophecy of Tri di Lorena Laurenti
Prophecy of Tri è il titolo che riunisce sotto di sé i romanzi della trilogia fantasy di Lorena.
Io ho già letto il libro primo, La Profezia. O sarebbe più opportuno dire che l'ho divorato (?).
Potete trovare la versione ebook su Amazon, oppure ordinare il cartaceo sui principali store online.
Tri ha un bel sito web che vi invito a visitare, nel quale trovate anche le istruzioni per ordinare i libri.
Lorena ha una scrittura avvolgente, che cattura e tiene incollati alla pagina fino all'ultima riga.
Se siete amanti del fantasy (e della fantascienza) vi piacerà sicuramente.
Limbus - Un fantasy da togliere il sonno di Luana Semprini
libro/mania è un progetto di editoria digitale sviluppato da De Agostini e Newton Compton per scoprire nuovi talenti e portarli alla pubblicazione in ebook con l'ausilio di uno staff editoriale.
Finzioni lo ha definito "assisted self-publishing".
Limbus è un paranormal fantasy nato in seno a questo progetto.
Lo potete acquistare sui principali store online. Qui la descrizione del libro. L'ho divorato in tre giorni...
...e non protestate che pesano in valigia, perché adesso ci sono gli e-reader; un'intera biblioteca a portata di tasca!
Oggi vi propongo due ebook esordienti, uno self-pub e l'altro edito da libro/mania.
Mi sono piaciute come letture e poi così faccio un po' di promozione a due giovani colleghe. ;)
Prophecy of Tri di Lorena Laurenti
Prophecy of Tri è il titolo che riunisce sotto di sé i romanzi della trilogia fantasy di Lorena.
Io ho già letto il libro primo, La Profezia. O sarebbe più opportuno dire che l'ho divorato (?).
Potete trovare la versione ebook su Amazon, oppure ordinare il cartaceo sui principali store online.
Tri ha un bel sito web che vi invito a visitare, nel quale trovate anche le istruzioni per ordinare i libri.
Lorena ha una scrittura avvolgente, che cattura e tiene incollati alla pagina fino all'ultima riga.
Se siete amanti del fantasy (e della fantascienza) vi piacerà sicuramente.
“Un sogno ricorrente. Un passato antico. Un mondo in cui non esiste il libero arbitrio. L’incubo sembra non avere fine. Un’anima privata del suo amore in cerca di vendetta.„- Tri. Capitolo Primo: La Profezia“Adoravo la fantascienza e i racconti fantasy, ma da lì a credere di essere su un altro mondo o in una qualche dimensione parallela... tutto aveva un limite! Non sapevo se essere furibonda, terrorizzata o divertita.„ - Saira“Su questo mondo non esiste la parola scritta, è vietata e punita, nei peggiori casi con la morte.„ - Shu
Limbus - Un fantasy da togliere il sonno di Luana Semprini
libro/mania è un progetto di editoria digitale sviluppato da De Agostini e Newton Compton per scoprire nuovi talenti e portarli alla pubblicazione in ebook con l'ausilio di uno staff editoriale.
Finzioni lo ha definito "assisted self-publishing".
Limbus è un paranormal fantasy nato in seno a questo progetto.
Lo potete acquistare sui principali store online. Qui la descrizione del libro. L'ho divorato in tre giorni...
“E se avessimo davvero una seconda possibilità? Cinque giovani si ritrovano sospesi in una dimensione parallela, prigionieri del gioco crudele di un’oscura creatura che si fa chiamare il Millantatore. Perché l’enigmatico personaggio li ha riuniti e chiede proprio a loro di combattere il suo acerrimo nemico? Possono davvero fidarsi di lui?„
- dalla pagina di presentazione su libro/mania
“La macchina sfrecciava ai centoventi chilometri orari. La notte, i lampioni a intermittenza, le curve. E l'alcool.„
“Tremai e mi guardai intorno. Solo allora mi accorsi che eravamo chiusi dentro una stanza di colore grigio perfettamente quadrata, senza porte né finestre.„
“Ma quale reality, ragazzi miei? Voi siete morti!„
venerdì 16 agosto 2013
Le 50 sfumature dell'inverosimile
Ed eccola qui la recensione!! Tanto decantata e attesa!
Con la speranza di non aver deluso le attese, vi invito a gustarvela tra un ghiacciolo e una fetta d'anguria in questo bel weekend d'estate!
;-)
Prima di iniziare, vorrei precisare che quanto seguirà sarà frutto della mia personale opinione pertanto potrà essere oggetto di discussione o dibattito.
Indipendentemente da questo, spero che quello che andrete a leggere vi possa piacere e divertire.
Auguro a tutti una buona lettura.
Chiara
La trama del libro si può riassumere come segue: la protagonista, Anastasia Steel, si innamora di un uomo più grande di lei, Christian Gray, bello, ricco e apparentemente senza difetti, il quale la trascina in una relazione torbida e sadomaso.
Detto questo, colgo l'occasione per trasmettervi alcuni accorgimenti che mi ha suggerito la lettura del capolavoro all'inverso per evitare alcuni errori che si potrebbero fare durante la stesura di un proprio scritto.
Con la speranza di non aver deluso le attese, vi invito a gustarvela tra un ghiacciolo e una fetta d'anguria in questo bel weekend d'estate!
;-)
Prima di iniziare, vorrei precisare che quanto seguirà sarà frutto della mia personale opinione pertanto potrà essere oggetto di discussione o dibattito.
Indipendentemente da questo, spero che quello che andrete a leggere vi possa piacere e divertire.
Auguro a tutti una buona lettura.
Chiara
La trama del libro si può riassumere come segue: la protagonista, Anastasia Steel, si innamora di un uomo più grande di lei, Christian Gray, bello, ricco e apparentemente senza difetti, il quale la trascina in una relazione torbida e sadomaso.
Detto questo, colgo l'occasione per trasmettervi alcuni accorgimenti che mi ha suggerito la lettura del capolavoro all'inverso per evitare alcuni errori che si potrebbero fare durante la stesura di un proprio scritto.
giovedì 15 agosto 2013
Buon Ferragosto!
Ciao a tutti!!
Un augurio è d'obbligo in questa giornata!
Ed eccolo qui, il giro di boa dell'estate. Ricordo che quando andavo a scuola vedevo Ferragosto come l'inizio della fine del periodo di vacanza. Un pò mi intristiva e un pò non aspettavo altro che settembre per iniziare il nuovo anno scolastico con i migliori propositi.
Ora è un giorno di festa (grazie!!!!) ed è un giorno in più che mi avvicina alle ferie (Yehehehehehehehe!!).
Giusto perchè mi va, colgo l'occasione per dirvi le 8 cose che mi fanno amare uno scrittore:
Alla prossima!!
:-)
PS: Ho finito la recensione di 50 sfumature! Vuvuzelas a bomba tutto il giorno! Domani la pubblico. Aspettatela, mi raccomando!
;-)
Un augurio è d'obbligo in questa giornata!
Ed eccolo qui, il giro di boa dell'estate. Ricordo che quando andavo a scuola vedevo Ferragosto come l'inizio della fine del periodo di vacanza. Un pò mi intristiva e un pò non aspettavo altro che settembre per iniziare il nuovo anno scolastico con i migliori propositi.
Ora è un giorno di festa (grazie!!!!) ed è un giorno in più che mi avvicina alle ferie (Yehehehehehehehe!!).
Giusto perchè mi va, colgo l'occasione per dirvi le 8 cose che mi fanno amare uno scrittore:
- Mi coinvolgono la sua trama, i suoi personaggi, la sua prosa.
- Riesce a mettere nero su bianco sensazioni che non riuscivo nemmeno a dire.
- Abbina parole, apparentemente diverse, creando un concetto nuovo ed incredibilmente potente.
- Mi sorprende con un colpo di scena inaspettato.
- Mi fa trovare poesia anche descrivendo momenti semplici e ordinari.
- Non è eccessivo nelle descrizioni, ma quelle che ci sono mi entrano dentro per tutta la vita.
- La sua storia mi lascia qualcosa.
- Mi sento più cresciuta e adulta per aver letto la sua opera.
Alla prossima!!
:-)
PS: Ho finito la recensione di 50 sfumature! Vuvuzelas a bomba tutto il giorno! Domani la pubblico. Aspettatela, mi raccomando!
;-)
Web Stories ∞ Chilam Balam (pt.4)
Mi aggiravo per il paese con aria smarrita. La sera doveva essere calata già da qualche ora. I pochi passanti che incrociavo passavano via veloci, forse erano gli ultimi ritardatari che si affrettavano verso le loro case dopo una dura giornata. Solo pochi negozi avevano ancora le saracinesche sollevate, prevalentemente dei bar. Come potevo essere stato così stupido? Due giorni di viaggio, due interi giorni su quella maledetta corriera ed eccomi qui, completamente solo in un luogo sconosciuto, senza la minima idea di cosa fare, senza nessun posto dove andare. Quel maledetto individuo si era dileguato senza una parola. Dove era andato? A quale fermata era sceso? Che diavolo. Se non voleva avermi tra i piedi, tanto valeva che non si facesse trovare l’altra mattina alla fermata. Perché trascinarmi in un viaggio senza senso fino a qui? Già, qui… ma che posto era questo? Non avevo nemmeno la minima idea di dove mi trovassi. Maledizione.
Ad ogni modo non potevo continuare per molto ad agire passivamente. Tra poche ore anche l’ultimo bar avrebbe chiuso ed io dovevo prima di tutto risolvere il problema della notte incombente. Non avevo preventivato l’ipotesi di dover passare la notte all’addiaccio. In questo paese doveva senz’altro esserci una locanda o qualcosa di simile in cui cercare ospitalità fino alla mattina seguente, e quale miglior posto di un bar per ottenere le informazioni che mi servivano? Mi affacciai su quella che aveva tutta l’aria di essere la piazza principale. C’erano diversi bar lungo il perimetro, alcuni coraggiosi avventori conversavano comodamente seduti sui tavolinetti posti all’esterno, ogni tanto si sentivano delle risa. Questo paese non era poi così morto come in un primo momento mi era sembrato.
Al centro della piazza c’erano alcune bancarelle che offrivano specialità locali: dolciumi, liquori, vasetti di marmellata. Nessuno tuttavia sembrava interessarsene. Mi avvicinai ad una di queste: la sua offerta si limitava a delle bizzarre fette di una torta di colore bianco, tutt’altro che invitante. La bancarella successiva sembrava più interessante: una di quelle tipicamente per turisti, con una vasta esposizione di statuette di terracotta, per lo più busti di quelli che mi sembravano sovrani o guerrieri Maya, o Aztechi. Più in là altri souvenir: una lunga fila di piramidi a gradoni, di tutte le dimensioni, da pochi centimetri fino ad una più grande, alta quasi mezzo metro. Mi avvicinai incuriosito. Alla base di tutte le piramidi era riportata un’unica parola rivelatrice: “PALENQUE”. Bingo! Alla fine ero quindi giunto a destinazione? Il sito archeologico doveva per forza essere nei paraggi, non si sarebbe altrimenti spiegata la prevalenza di souvenir di Palenque, rispetto per esempio alla più nota Chichen Itza, i cui souvenir si trovano un po’ ovunque in tutto il Messico. Il mio sguardo si pose su alcuni libri esposti in uno degli angoli meno visibili. Mi avvicinai e ne presi uno il cui titolo era “Miti e leggende Maya”. Ecco l’occasione per cominciare quello che proprio il giorno prima mi ero ripromesso di fare: approfondire la conoscenza degli antichi abitanti di queste terre.
Con il mio nuovo libro sottobraccio mi incamminai attraverso la piazza verso quello che, tra i tanti bar, sembrava essere il più invitante. Entrai nel locale: due grossi lampadari pendevano dal soffitto, sulle pareti tutt’attorno dei dipinti raffiguranti scene di barche e marinai, completamente fuori posto in un paese come questo. Una ragazza dai lunghi capelli neri stava riempiendo il bicchiere di un tizio seduto dall’altra parte del bancone. Alla mia sinistra quattro uomini giocavano a carte in silenzio. Io mi sedetti ad un tavolino giusto alla mia destra e appoggiai a terra il mio zaino.
- In cosa posso servirla? – La ragazza dai lunghi capelli neri si era avvicinata.
- Vorrei una birra per cortesia… e uno di quei sandwich laggiù.
- Va bene. Nient’altro?
- Un’informazione, se posso…
- Sicuro.
- Conosce per caso un posto dove posso passare la notte qui nei paraggi?
- Niente di più facile. Può passare la notte proprio qui da noi. Abbiamo delle camere a disposizione; non sono un granché in fatto di comfort, ma le lenzuola sono pulite e il prezzo è ragionevole.
- D’accordo, va bene. Allora mi fermo.
La ragazza si allontanò. Dopo qualche minuto ritornò con la mia ordinazione ed un mazzo di chiavi.
- Queste sono le chiavi della stanza. Uscendo dal bar, pochi passi sulla destra e troverà un portone verde. Da lì potrà accedere alla sua stanza a qualunque ora, anche in piena notte quando il bar sarà chiuso. Questa è la chiave del portone e quest’altra la chiave della stanza 103, al primo piano. Si ferma solo una notte?
- Sì, solo stanotte
- Benissimo. Naturalmente le chiediamo il pagamento anticipato.
- Naturalmente – risposi.
Allungai una banconota alla ragazza e lei si allontanò dicendomi che mi avrebbe portato il resto da lì a poco. Che fortuna, pensai. Non avevo proprio voglia di vagabondare per ore alla ricerca di un letto. Avrei terminato il mio pasto e sarei salito subito in camera. Avevo proprio bisogno di una notte di riposo, dopo tanto tempo trascorso su quella maledetta corriera.
- Ecco il suo resto.
- Grazie mille.
Aprii senza convinzione il libro che avevo appena acquistato, lo sfogliai dapprima rapidamente, e quindi mi soffermai su uno dei capitoli iniziali che narrava la leggenda del Chivo Huay: un essere mostruoso, dalla testa di capra e il corpo di un essere umano. Chi lo aveva avvistato ripeteva che fosse dotato di terrificanti occhi rossi e che fosse solito avvicinarsi nottetempo alle abitazioni per aggredire il bestiame e cibarsene.
Chiusi il libro. Ero molto stanco. Mi alzai e mi avvicinai al bancone per dare la buonanotte alla ragazza del bar che, pensando di non essere osservata, si stava sistemando il trucco.
- Buonanotte, signorina. È stata molto gentile.
- Buonanotte a lei - rispose la ragazza.
- Ah, un’ultima cosa…. Ha mica visto passare di qua un tizio con una tonaca, il viso sottile e allungato, baffi ben curati e barba a punta?
- È un suo amico? – mi rispose. Quella risposta aveva aperto in me una speranza.
- Non proprio – risposi prudentemente – è che assomiglia molto ad una persona che conosco….
- Beh… Allora diciamo che lo potrà constatare lei stesso domattina. Ha preso anche lui alloggio qui da noi, se non sbaglio proprio in una delle camere del primo piano…
Non credevo alle mie orecchie. L’avevo trovato, quel dannato traditore, ma questa volta non mi sarei fatto abbindolare così facilmente.
- Sa una cosa?
- Cosa?
- Credo che mi fermerò qui anche domani notte.
By Obsidian M. (giovedì prossima la quinta e ultima puntata)
Ad ogni modo non potevo continuare per molto ad agire passivamente. Tra poche ore anche l’ultimo bar avrebbe chiuso ed io dovevo prima di tutto risolvere il problema della notte incombente. Non avevo preventivato l’ipotesi di dover passare la notte all’addiaccio. In questo paese doveva senz’altro esserci una locanda o qualcosa di simile in cui cercare ospitalità fino alla mattina seguente, e quale miglior posto di un bar per ottenere le informazioni che mi servivano? Mi affacciai su quella che aveva tutta l’aria di essere la piazza principale. C’erano diversi bar lungo il perimetro, alcuni coraggiosi avventori conversavano comodamente seduti sui tavolinetti posti all’esterno, ogni tanto si sentivano delle risa. Questo paese non era poi così morto come in un primo momento mi era sembrato.
Al centro della piazza c’erano alcune bancarelle che offrivano specialità locali: dolciumi, liquori, vasetti di marmellata. Nessuno tuttavia sembrava interessarsene. Mi avvicinai ad una di queste: la sua offerta si limitava a delle bizzarre fette di una torta di colore bianco, tutt’altro che invitante. La bancarella successiva sembrava più interessante: una di quelle tipicamente per turisti, con una vasta esposizione di statuette di terracotta, per lo più busti di quelli che mi sembravano sovrani o guerrieri Maya, o Aztechi. Più in là altri souvenir: una lunga fila di piramidi a gradoni, di tutte le dimensioni, da pochi centimetri fino ad una più grande, alta quasi mezzo metro. Mi avvicinai incuriosito. Alla base di tutte le piramidi era riportata un’unica parola rivelatrice: “PALENQUE”. Bingo! Alla fine ero quindi giunto a destinazione? Il sito archeologico doveva per forza essere nei paraggi, non si sarebbe altrimenti spiegata la prevalenza di souvenir di Palenque, rispetto per esempio alla più nota Chichen Itza, i cui souvenir si trovano un po’ ovunque in tutto il Messico. Il mio sguardo si pose su alcuni libri esposti in uno degli angoli meno visibili. Mi avvicinai e ne presi uno il cui titolo era “Miti e leggende Maya”. Ecco l’occasione per cominciare quello che proprio il giorno prima mi ero ripromesso di fare: approfondire la conoscenza degli antichi abitanti di queste terre.
Con il mio nuovo libro sottobraccio mi incamminai attraverso la piazza verso quello che, tra i tanti bar, sembrava essere il più invitante. Entrai nel locale: due grossi lampadari pendevano dal soffitto, sulle pareti tutt’attorno dei dipinti raffiguranti scene di barche e marinai, completamente fuori posto in un paese come questo. Una ragazza dai lunghi capelli neri stava riempiendo il bicchiere di un tizio seduto dall’altra parte del bancone. Alla mia sinistra quattro uomini giocavano a carte in silenzio. Io mi sedetti ad un tavolino giusto alla mia destra e appoggiai a terra il mio zaino.
- In cosa posso servirla? – La ragazza dai lunghi capelli neri si era avvicinata.
- Vorrei una birra per cortesia… e uno di quei sandwich laggiù.
- Va bene. Nient’altro?
- Un’informazione, se posso…
- Sicuro.
- Conosce per caso un posto dove posso passare la notte qui nei paraggi?
- Niente di più facile. Può passare la notte proprio qui da noi. Abbiamo delle camere a disposizione; non sono un granché in fatto di comfort, ma le lenzuola sono pulite e il prezzo è ragionevole.
- D’accordo, va bene. Allora mi fermo.
La ragazza si allontanò. Dopo qualche minuto ritornò con la mia ordinazione ed un mazzo di chiavi.
- Queste sono le chiavi della stanza. Uscendo dal bar, pochi passi sulla destra e troverà un portone verde. Da lì potrà accedere alla sua stanza a qualunque ora, anche in piena notte quando il bar sarà chiuso. Questa è la chiave del portone e quest’altra la chiave della stanza 103, al primo piano. Si ferma solo una notte?
- Sì, solo stanotte
- Benissimo. Naturalmente le chiediamo il pagamento anticipato.
- Naturalmente – risposi.
Allungai una banconota alla ragazza e lei si allontanò dicendomi che mi avrebbe portato il resto da lì a poco. Che fortuna, pensai. Non avevo proprio voglia di vagabondare per ore alla ricerca di un letto. Avrei terminato il mio pasto e sarei salito subito in camera. Avevo proprio bisogno di una notte di riposo, dopo tanto tempo trascorso su quella maledetta corriera.
- Ecco il suo resto.
- Grazie mille.
Aprii senza convinzione il libro che avevo appena acquistato, lo sfogliai dapprima rapidamente, e quindi mi soffermai su uno dei capitoli iniziali che narrava la leggenda del Chivo Huay: un essere mostruoso, dalla testa di capra e il corpo di un essere umano. Chi lo aveva avvistato ripeteva che fosse dotato di terrificanti occhi rossi e che fosse solito avvicinarsi nottetempo alle abitazioni per aggredire il bestiame e cibarsene.
Chiusi il libro. Ero molto stanco. Mi alzai e mi avvicinai al bancone per dare la buonanotte alla ragazza del bar che, pensando di non essere osservata, si stava sistemando il trucco.
- Buonanotte, signorina. È stata molto gentile.
- Buonanotte a lei - rispose la ragazza.
- Ah, un’ultima cosa…. Ha mica visto passare di qua un tizio con una tonaca, il viso sottile e allungato, baffi ben curati e barba a punta?
- È un suo amico? – mi rispose. Quella risposta aveva aperto in me una speranza.
- Non proprio – risposi prudentemente – è che assomiglia molto ad una persona che conosco….
- Beh… Allora diciamo che lo potrà constatare lei stesso domattina. Ha preso anche lui alloggio qui da noi, se non sbaglio proprio in una delle camere del primo piano…
Non credevo alle mie orecchie. L’avevo trovato, quel dannato traditore, ma questa volta non mi sarei fatto abbindolare così facilmente.
- Sa una cosa?
- Cosa?
- Credo che mi fermerò qui anche domani notte.
By Obsidian M. (giovedì prossima la quinta e ultima puntata)
giovedì 8 agosto 2013
Web Stories ∞ Chilam Balam (pt.3)
All'inizio del XX secolo gran parte della giungla che circondava Palenque, una delle città più importanti della regione centrale del territorio appartenuto ai Maya, ritornò alla luce, con lo splendore dei suoi monumenti, dopo più di un millennio di abbandono. All’interno del sito archeologico il ritrovamento più importante fu senza dubbio quello della tomba del re K'inich Janaab' Pakal (Pacal il grande). La tomba, un sarcofago di pietra rossa, era chiusa da un'enorme lastra rettangolare ricoperta di incisioni intricate. Sollevandola, fu rinvenuto un tesoro di manufatti d'arte Maya. Il viso del defunto era protetto da una splendida maschera a mosaico di giada, con gli occhi di conchiglia e le iridi di ossidiana. La mummia indossava orecchini e gioielli ed era alta 1.73 cm, fatto che suscitò una grande sorpresa, dal momento che l'altezza media dei Maya contemporanei a Pacal era di 1.50 cm. Gli archeologi registrarono un'ulteriore stranezza: era usanza dei Maya schiacciare il cranio dei neonati perché si riteneva che la forma allungata fosse un attributo estetico di grande valore, ma il corpo nel sepolcro non presenta questa deformazione nel cranio. In altre parole, il corpo di Pacal non corrispondeva a quella che era la fisicità dei Maya e quindi Pacal non era evidentemente un Maya come tutti gli altri. Ma un particolare ancora più singolare era rappresentato dalla lastra che copriva il sarcofago: al centro di essa era raffigurato un uomo in una strana posizione. Le sue mani e i suoi piedi sembravano impegnati a manovrare pedali e manopole, la testa pareva essere appoggiata su un supporto, nel naso un qualcosa dalla forma triangolare che a molti ricordava un inalatore. L'uomo era inserito in una struttura molto simile a un razzo; a rendere più marcata la somiglianza con un razzo sono le fiamme chiaramente disegnate sul retro.
Gli archeologi che rinvennero la tomba furono uniti nel dichiarare che, all'apertura del sarcofago, furono come pervasi da "un vento di polvere stellare". Tutto gli indizi quindi sembravano far convergere su un'unica teoria: quella che la figura enigmatica al centro della lastra rappresentasse un essere giunto dallo spazio a bordo della sua astronave. Il cosiddetto Astronauta di Palenque spiegherebbe le straordinarie conoscenze astronomiche del popolo Maya, la sua ossessione per il tempo e per l'universo, il suo senso di appartenenza al tutto e, non ultimo, darebbe una soluzione definitiva al mistero dell'improvvisa apparizione e scomparsa dei Maya.
Eccomi dunque completamente immerso in un’avventura che mai avrei sperato di vivere. Il manoscritto che tanto aveva attratto il mio interesse era forse in qualche modo collegato all’antica civiltà Maya e ai suoi misteri? Se quell’uomo.. come si chiamava… Kukulkàn… non mentiva, allora quei pochi indizi a mia disposizione sembravano confermarlo. Ma sicuro. Non poteva essere altrimenti. La leggende relative ai Maya, il varco tra due mondi a cui Kukulkàn aveva accennato. Su questo e molto altro riflettevo quella mattina durante il viaggio per Palenque. Avevo incontrato il mio compagno di viaggio sul luogo dell’appuntamento all’ora convenuta e ci eravamo accomodati su un paio di sedili in fondo alla corriera. Il viaggio da Città del Messico alla nostra destinazione, circa 900 km, avrebbe richiesto almeno un paio di giorni. Ne approfittai per riposare: la stanchezza accumulata nei giorni precedenti cominciò a farsi presto sentire. Inoltre, il mio compagno di viaggio sembrava aver perso la sua loquacità e il suo silenzio, unito alla noia del viaggio, mi fece crollare.
Quando la corriera fece sosta presso un’area di servizio mi svegliai. Alcuni dei passeggeri, tra cui Kukulkàn, erano scesi per sgranchirsi le gambe. Lo osservai dal finestrino. Mentre tutti gli altri passeggeri erano intenti a passeggiare e a chiacchierare tra di loro, egli sembrava essere completamente impermeabile a qualsiasi influenza esterna: era in piedi, da solo, a qualche passo di distanza dal gruppo. Sembrava che stesse osservando qualcosa di invisibile in lontananza, qualcosa che sembrava aver attirato la sua attenzione sul pendio delle colline, oltre la strada. O almeno così credetti, visto che il suo sguardo sembrava leggermente sollevato rispetto all’orizzonte. Mi chiesi ancora una volta se fosse sano di mente. Un truffatore? Non credo. Se lo fosse stato non avrebbe avuto bisogno di pianificare una storia così complicata. Eppure, c’era qualcosa che non mi convinceva. Una nota stonata che era rappresentata dal manoscritto stesso, dalla sua stessa esistenza. Come poteva risalire all’epoca Maya, ben mille anni prima, ed essere giunto fino a noi in condizioni pressoché intatte? Quale strana magia aveva potuto permettergli di attraversare i secoli indenne?
Di questo mi dette spiegazione il mio compagno di viaggio, da me interpellato in proposito, pochi minuti dopo esserci lasciati alle spalle l’area di servizio.
- Poco dopo la conquista (tra il 1519 e il 1549), monaci e frati spagnoli insegnarono ai Maya a leggere e scrivere nella propria lingua. Ai fini della cristianizzazione, adottarono l'alfabeto latino e i Maya approfittarono del loro nuovo apprendimento per registrare tutto, dalla “lista della spesa”, alle profezie, ai rituali della corona. Alla fine del XVI secolo, un anonimo scrivano Maya scrisse "La storia del mondo dell'epoca". In essa egli raccolse numerose testimonianze delle origini di dèi, esseri umani e rituali. Questa raccolta è diventata una parte di quella che oggi è conosciuta come il libro di Chilam Balam di Chumayel.
- Chu… Chumayel?
- Si, Chumayel, quella particolare comunità Maya a cui questo libro specifico apparteneva.
- Quindi, questo libro altro non sarebbe che il Chilam Balam?
- Esatto. Da un punto di vista storico, il Chilam Balam è un testo importantissimo. Si discute degli avvenimenti più importanti della storia dello Yucatan secondo il concetto Maya del “tempo ciclico”, o come lo immaginiamo noi, della natura ciclica della storia.
Gli posi altre domande, ma a quel punto il mio compagno di viaggio smise improvvisamente di parlare. Era come se ad un tratto si fosse chiuso, immerso in un suo mondo al quale io non avevo più accesso. Non insistetti più di tanto e tornai ai miei pensieri. Non avevo mai approfondito la storia del mio paese, i Maya, gli Aztechi, le loro leggende, le loro divinità. Mi ripromisi di farlo al mio ritorno. Per il momento quello che sapevo era abbastanza… e poi, nei giorni successivi avrei certamente avuto diverse occasioni per saperne di più: quest’uomo sembrava davvero una persona di grande cultura, ed io mi sentivo fortunato a poterla condividere con lui, sebbene non mi fosse ancora completamente chiaro il significato del viaggio che stavamo affrontando. Trascorsi la maggior parte delle ore successive a dormicchiare e a leggere un libro di racconti che mi ero infilato nello zaino prima della partenza.
Fu l’autista a svegliarmi il giorno successivo, strattonandomi per un braccio e scuotendomi vigorosamente.
- Ehi, signore… siamo arrivati. La nostra corsa termina qua. Dovrebbe scendere, per cortesia.
Aprii gli occhi lentamente. Fuori era buio. Mi guardai attorno e… Mio Dio! Attorno a me non c’era nessuno. Solo l’autista, che seguitava senza sosta a sollecitare la mia discesa dal mezzo.
- Ma cosa? Dove siamo? Cosa sta succedendo? Dove sono tutti quanti?
- Questo è il capolinea, signore.
- Ma dov’è finito quel tizio che stava qui seduto accanto a me?
- Non saprei, signore, qui non c’è più nessuno.
By Obsidian M. (giovedì prossimo la quarta puntata)
Gli archeologi che rinvennero la tomba furono uniti nel dichiarare che, all'apertura del sarcofago, furono come pervasi da "un vento di polvere stellare". Tutto gli indizi quindi sembravano far convergere su un'unica teoria: quella che la figura enigmatica al centro della lastra rappresentasse un essere giunto dallo spazio a bordo della sua astronave. Il cosiddetto Astronauta di Palenque spiegherebbe le straordinarie conoscenze astronomiche del popolo Maya, la sua ossessione per il tempo e per l'universo, il suo senso di appartenenza al tutto e, non ultimo, darebbe una soluzione definitiva al mistero dell'improvvisa apparizione e scomparsa dei Maya.
Eccomi dunque completamente immerso in un’avventura che mai avrei sperato di vivere. Il manoscritto che tanto aveva attratto il mio interesse era forse in qualche modo collegato all’antica civiltà Maya e ai suoi misteri? Se quell’uomo.. come si chiamava… Kukulkàn… non mentiva, allora quei pochi indizi a mia disposizione sembravano confermarlo. Ma sicuro. Non poteva essere altrimenti. La leggende relative ai Maya, il varco tra due mondi a cui Kukulkàn aveva accennato. Su questo e molto altro riflettevo quella mattina durante il viaggio per Palenque. Avevo incontrato il mio compagno di viaggio sul luogo dell’appuntamento all’ora convenuta e ci eravamo accomodati su un paio di sedili in fondo alla corriera. Il viaggio da Città del Messico alla nostra destinazione, circa 900 km, avrebbe richiesto almeno un paio di giorni. Ne approfittai per riposare: la stanchezza accumulata nei giorni precedenti cominciò a farsi presto sentire. Inoltre, il mio compagno di viaggio sembrava aver perso la sua loquacità e il suo silenzio, unito alla noia del viaggio, mi fece crollare.
Quando la corriera fece sosta presso un’area di servizio mi svegliai. Alcuni dei passeggeri, tra cui Kukulkàn, erano scesi per sgranchirsi le gambe. Lo osservai dal finestrino. Mentre tutti gli altri passeggeri erano intenti a passeggiare e a chiacchierare tra di loro, egli sembrava essere completamente impermeabile a qualsiasi influenza esterna: era in piedi, da solo, a qualche passo di distanza dal gruppo. Sembrava che stesse osservando qualcosa di invisibile in lontananza, qualcosa che sembrava aver attirato la sua attenzione sul pendio delle colline, oltre la strada. O almeno così credetti, visto che il suo sguardo sembrava leggermente sollevato rispetto all’orizzonte. Mi chiesi ancora una volta se fosse sano di mente. Un truffatore? Non credo. Se lo fosse stato non avrebbe avuto bisogno di pianificare una storia così complicata. Eppure, c’era qualcosa che non mi convinceva. Una nota stonata che era rappresentata dal manoscritto stesso, dalla sua stessa esistenza. Come poteva risalire all’epoca Maya, ben mille anni prima, ed essere giunto fino a noi in condizioni pressoché intatte? Quale strana magia aveva potuto permettergli di attraversare i secoli indenne?
Di questo mi dette spiegazione il mio compagno di viaggio, da me interpellato in proposito, pochi minuti dopo esserci lasciati alle spalle l’area di servizio.
- Poco dopo la conquista (tra il 1519 e il 1549), monaci e frati spagnoli insegnarono ai Maya a leggere e scrivere nella propria lingua. Ai fini della cristianizzazione, adottarono l'alfabeto latino e i Maya approfittarono del loro nuovo apprendimento per registrare tutto, dalla “lista della spesa”, alle profezie, ai rituali della corona. Alla fine del XVI secolo, un anonimo scrivano Maya scrisse "La storia del mondo dell'epoca". In essa egli raccolse numerose testimonianze delle origini di dèi, esseri umani e rituali. Questa raccolta è diventata una parte di quella che oggi è conosciuta come il libro di Chilam Balam di Chumayel.
- Chu… Chumayel?
- Si, Chumayel, quella particolare comunità Maya a cui questo libro specifico apparteneva.
- Quindi, questo libro altro non sarebbe che il Chilam Balam?
- Esatto. Da un punto di vista storico, il Chilam Balam è un testo importantissimo. Si discute degli avvenimenti più importanti della storia dello Yucatan secondo il concetto Maya del “tempo ciclico”, o come lo immaginiamo noi, della natura ciclica della storia.
Gli posi altre domande, ma a quel punto il mio compagno di viaggio smise improvvisamente di parlare. Era come se ad un tratto si fosse chiuso, immerso in un suo mondo al quale io non avevo più accesso. Non insistetti più di tanto e tornai ai miei pensieri. Non avevo mai approfondito la storia del mio paese, i Maya, gli Aztechi, le loro leggende, le loro divinità. Mi ripromisi di farlo al mio ritorno. Per il momento quello che sapevo era abbastanza… e poi, nei giorni successivi avrei certamente avuto diverse occasioni per saperne di più: quest’uomo sembrava davvero una persona di grande cultura, ed io mi sentivo fortunato a poterla condividere con lui, sebbene non mi fosse ancora completamente chiaro il significato del viaggio che stavamo affrontando. Trascorsi la maggior parte delle ore successive a dormicchiare e a leggere un libro di racconti che mi ero infilato nello zaino prima della partenza.
Fu l’autista a svegliarmi il giorno successivo, strattonandomi per un braccio e scuotendomi vigorosamente.
- Ehi, signore… siamo arrivati. La nostra corsa termina qua. Dovrebbe scendere, per cortesia.
Aprii gli occhi lentamente. Fuori era buio. Mi guardai attorno e… Mio Dio! Attorno a me non c’era nessuno. Solo l’autista, che seguitava senza sosta a sollecitare la mia discesa dal mezzo.
- Ma cosa? Dove siamo? Cosa sta succedendo? Dove sono tutti quanti?
- Questo è il capolinea, signore.
- Ma dov’è finito quel tizio che stava qui seduto accanto a me?
- Non saprei, signore, qui non c’è più nessuno.
By Obsidian M. (giovedì prossimo la quarta puntata)
martedì 6 agosto 2013
A little preview
Ciao!
dal momento che ci vuole del tempo ad arrivare in fondo alla recensione di "Cinquanta sfumature di grigio" e non vorrei che vi dimenticaste di me, vi faccio venire l'acquolina in bocca anticipandovi i punti che vi tratterò all'interno:
n.1 la trama.
n.2 caratterizzazione e descrizione dei personaggi.
n.3 caratterizzazione e descrizione dei luoghi.
n.4 ripetizione selvaggia di termini o frasi.
n.5 linguaggio scritto.
n.6 marcare forzatamente e continuamente certi pensieri e certi dati oggettivi.
n.7 descrizione di azioni inutili.
n.8 dialoghi inverosimili e inconcludenti.
Vi ho incuriosito?
Arrivederci alla recensione, allora...
:-)
dal momento che ci vuole del tempo ad arrivare in fondo alla recensione di "Cinquanta sfumature di grigio" e non vorrei che vi dimenticaste di me, vi faccio venire l'acquolina in bocca anticipandovi i punti che vi tratterò all'interno:
n.1 la trama.
n.2 caratterizzazione e descrizione dei personaggi.
n.3 caratterizzazione e descrizione dei luoghi.
n.4 ripetizione selvaggia di termini o frasi.
n.5 linguaggio scritto.
n.6 marcare forzatamente e continuamente certi pensieri e certi dati oggettivi.
n.7 descrizione di azioni inutili.
n.8 dialoghi inverosimili e inconcludenti.
Vi ho incuriosito?
Arrivederci alla recensione, allora...
:-)
sabato 3 agosto 2013
Webmaking 101 ∞ Blogging 101
Bentornati sulle webpagine della rubrica #Webmaking101. Oggi parliamo di blog.
Vorrei rompere il ghiaccio proponendovi un piccolo glossario ragionato della terminologia del blog.
Weblog
Deriva dall'unione di due parole inglesi web + log. Web è il termine che designa la Rete, mentre log è un prestito da logbook, il "giornale di bordo" usato sulle navi per annotare ciò che succede durante il viaggio. Dalla contrazione del termine weblog abbiamo blog.
Quindi quale definizione dare di blog? In realtà il blog è un medium duttile, quindi è difficile dare una definizione univoca; quella che preferisco e che penso sia la più chiara ed efficace, è "diario online". Con un inciso: così come un diario non deve per forza accogliere scritti autobiografici e/o intimistici, anche la materia del blog può essere eterogenea. Inoltre il blog ha anche una dimensione comunicativa, che si esprime nei commenti degli utenti.
CMS
CMS è l'acronimo di Content Management System.
In italiano si può tradurre come sistema di gestione dei contenuti.
Cos'è un CMS?
È un'applicazione lato server che si appoggia su un database per lo stoccaggio dei contenuti, cioè un software da installare su un server web che facilita la creazione e gestione di contenuti di un sito web. L'aspetto più importante è che i contenuti vengono archiviati nel database e possono essere recuperati in qualsiasi momento; non scompaiono a meno che non vengano manualmente rimossi dall'amministratore del sito.
Inoltre per ogni contenuto viene generato un permalink, un link permanente che rimanda a quel contenuto e quel contenuto soltanto, eliminando il rischio di link morti e/o duplicati.
La tecnologia del blog si basa sul CMS, cioè alla base di ogni blog c'è un CMS.
Il CMS può essere installato manualmente su un server (sarà necessario noleggiare uno spazio web da un provider), oppure lo si può trovare già installato, "chiavi in mano" sulle piattaforme di blogging gratuite come Blogger o Wordpress.com.
Uno dei CMS gratuiti e open source più famosi è WordPress (da non confondere con Wordpress.com), ma forse avete sentito parlare anche di Drupal e Joomla!
L'installazione di un CMS non richiede conoscenze pregresse di programmazione, anche se può rivelarsi una procedura complicata per il neofita. Il vantaggio di disporre di un proprio CMS sta nel fatto che l'amministratore può controllare ogni aspetto della gestione della piattaforma. Lo svantaggio sta nel fatto che è compito dell'amministratore anche l'aggiornamento e il mantenimento del software, mentre in una piattaforma "chiavi in mano" di tutti gli aspetti tecnici si fa carico il fornitore del servizio (ad es. Google). Inoltre per installare un CMS è necessario noleggiare uno spazio web.
Post
I post sono le "annotazioni" sul "diario online". È lo spazio, in homepage, dove vengono mostrati i contenuti del blog: testo, immagini, multimedia, o una combinazione di questi elementi. Ogni post avrà anche un modulo o un link per i commenti, in modo che gli utenti possano interagire con i contenuti del blog.
Un elemento caratterizzante del blog è il meccanismo di archiviazione: dopo una certa permanenza in homepage, i post meno recenti vengono sostituiti da quelli più recenti e trasferiti nell'archivio del blog, da cui possono essere recuperati tramite permalink, il link univoco che permette la reperibilità di un post quando non è più visualizzato in homepage.
Un post può essere recuperato in tre modi:
Blogging è l'azione di scrivere sul blog.
Blogosfera
La blogosfera è la "dimensione" dei blog, lo spazio trasversale che accoglie i blog, che permette la connessione tra un blog e l'altro e lo scambio d'informazioni tra blog e blogger.
Per approfondire
Note
Le mie piattaforme di blogging preferite sono Blogger, Tumblr, Wordpress.com e OverBlog.
Se siete alle prime armi e volete pasticciare con il blog il mio consiglio è di provare con una di queste quattro: sono gratuite e "chiavi in mano".
*Alcuni blog hanno anche le Categorie, oltre alle Etichette.
Vorrei rompere il ghiaccio proponendovi un piccolo glossario ragionato della terminologia del blog.
Weblog
Deriva dall'unione di due parole inglesi web + log. Web è il termine che designa la Rete, mentre log è un prestito da logbook, il "giornale di bordo" usato sulle navi per annotare ciò che succede durante il viaggio. Dalla contrazione del termine weblog abbiamo blog.
Quindi quale definizione dare di blog? In realtà il blog è un medium duttile, quindi è difficile dare una definizione univoca; quella che preferisco e che penso sia la più chiara ed efficace, è "diario online". Con un inciso: così come un diario non deve per forza accogliere scritti autobiografici e/o intimistici, anche la materia del blog può essere eterogenea. Inoltre il blog ha anche una dimensione comunicativa, che si esprime nei commenti degli utenti.
CMS
CMS è l'acronimo di Content Management System.
In italiano si può tradurre come sistema di gestione dei contenuti.
Cos'è un CMS?
È un'applicazione lato server che si appoggia su un database per lo stoccaggio dei contenuti, cioè un software da installare su un server web che facilita la creazione e gestione di contenuti di un sito web. L'aspetto più importante è che i contenuti vengono archiviati nel database e possono essere recuperati in qualsiasi momento; non scompaiono a meno che non vengano manualmente rimossi dall'amministratore del sito.
Inoltre per ogni contenuto viene generato un permalink, un link permanente che rimanda a quel contenuto e quel contenuto soltanto, eliminando il rischio di link morti e/o duplicati.
La tecnologia del blog si basa sul CMS, cioè alla base di ogni blog c'è un CMS.
Il CMS può essere installato manualmente su un server (sarà necessario noleggiare uno spazio web da un provider), oppure lo si può trovare già installato, "chiavi in mano" sulle piattaforme di blogging gratuite come Blogger o Wordpress.com.
Uno dei CMS gratuiti e open source più famosi è WordPress (da non confondere con Wordpress.com), ma forse avete sentito parlare anche di Drupal e Joomla!
L'installazione di un CMS non richiede conoscenze pregresse di programmazione, anche se può rivelarsi una procedura complicata per il neofita. Il vantaggio di disporre di un proprio CMS sta nel fatto che l'amministratore può controllare ogni aspetto della gestione della piattaforma. Lo svantaggio sta nel fatto che è compito dell'amministratore anche l'aggiornamento e il mantenimento del software, mentre in una piattaforma "chiavi in mano" di tutti gli aspetti tecnici si fa carico il fornitore del servizio (ad es. Google). Inoltre per installare un CMS è necessario noleggiare uno spazio web.
Post
I post sono le "annotazioni" sul "diario online". È lo spazio, in homepage, dove vengono mostrati i contenuti del blog: testo, immagini, multimedia, o una combinazione di questi elementi. Ogni post avrà anche un modulo o un link per i commenti, in modo che gli utenti possano interagire con i contenuti del blog.
Un elemento caratterizzante del blog è il meccanismo di archiviazione: dopo una certa permanenza in homepage, i post meno recenti vengono sostituiti da quelli più recenti e trasferiti nell'archivio del blog, da cui possono essere recuperati tramite permalink, il link univoco che permette la reperibilità di un post quando non è più visualizzato in homepage.
Un post può essere recuperato in tre modi:
- sfogliando l'archivio del blog;
- con il meccanismo delle etichette* (o tag);
- tramite il campo di ricerca, per parola chiave.
Mi piace immaginare il post come un foglio bianco.
Blogger e blogging
Blogger è colui che scrive sul blog.Blogging è l'azione di scrivere sul blog.
Blogosfera
La blogosfera è la "dimensione" dei blog, lo spazio trasversale che accoglie i blog, che permette la connessione tra un blog e l'altro e lo scambio d'informazioni tra blog e blogger.
Per approfondire
- D'Ottavi, Sorchiotti, Come si fa un blog 2.0, Tecniche Nuove, 2008
- Kiro, Bloggare alla grande, BitHOUSEweb, 2011
- Piero Sermasi, Professione blogger, Hoepli, 2008
- Marco Freccero, Starter Kit per Blogger, 40kUnofficial, 2012
- Giuseppe Granieri, Blog Generation, Laterza, 2005
Note
Le mie piattaforme di blogging preferite sono Blogger, Tumblr, Wordpress.com e OverBlog.
Se siete alle prime armi e volete pasticciare con il blog il mio consiglio è di provare con una di queste quattro: sono gratuite e "chiavi in mano".
*Alcuni blog hanno anche le Categorie, oltre alle Etichette.
giovedì 1 agosto 2013
Web Stories ∞ Chilam Balam (pt.2)
Quella notte la trascorsi in bianco. La mia mente continuava a ritornare agli avvenimenti occorsi il pomeriggio precedente. Come poteva quell’uomo essere sparito nel nulla? E che fine aveva fatto il libro sul quale era stato chino fino a solo poche ore prima? Ma soprattutto, qual era il segreto racchiuso in quelle pagine, segreto che quell’uomo dava la netta impressione di conoscere? Qual era infine il significato delle parole che mi aveva rivolto? Fu solo verso l’alba che la stanchezza mi vinse e finalmente mi addormentai. Quando mi svegliai il sole aveva già compiuto oltre la metà del suo compito quotidiano: a giudicare dalla luce che filtrava dalla piccola finestra della mia stanza, doveva essere infatti già tardo pomeriggio. Mi misi seduto, mi stropicciai gli occhi e mi guardai attorno. La stanza in cui vivevo in quegli anni non si poteva certo definire una reggia: si trattava di un pertugio di tre metri per due ricavato a lato di un vecchio fienile. Il contadino che mi ospitava era un vecchio amico di mio padre e, per affetto nei suoi confronti, acconsentì di ospitarmi in cambio solo di qualche piccolo lavoretto. Oltre alla brandina dove dormivo c’era solo una sedia e, accanto alla finestra, una piccola scrivania dove passavo il mio tempo a studiare. Non ci volle molto prima che i fatti appena vissuti mi tornassero alla mente, ed ero ora più che mai convinto di dovermi recare nuovamente in biblioteca. In cuor mio conservavo la speranza che l’incontro con quello strano individuo si fosse rivelato nient’altro che un brutto sogno. Mi gettai sul sentiero e, camminando di buona lena, giunsi ben presto in città. La piazza antistante la biblioteca era semideserta. Mi guardai un po’ in giro nel tentativo di riconoscere qualcuna delle facce a me note, ma senza successo. Le prime ombre della sera facevano capolino e pertanto decisi di non indugiare oltre e di infilare rapidamente la porta dell’edificio.
Mi diressi quasi di corsa verso il mio solito scaffale. Da lontano avevo già notato che l’ampio spazio vuoto orfano dal manoscritto mancante la sera prima non era affatto vuoto. Dentro di me però sapevo che qualcosa non andava, c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Alzai lo sguardo verso lo scaffale: quello che vidi erano solo vecchi testi latini. Guardai a destra, guardai a sinistra, cercai poi in tutta la biblioteca, ma di quel libro non c’era alcuna traccia. Credo che fu in quel momento che persi i sensi. Quando mi svegliai era ormai notte inoltrata. Ero immerso nelle tenebre, dimenticato all’interno della biblioteca oltre l’orario di chiusura. A tentoni cercai di avvicinarmi all’ingresso. Il mio respiro diventava istante dopo istante sempre più affannoso. Fu in quel momento che sentii un rumore alle mie spalle. Nell’oscurità una candela si accese. Una figura diabolica si stava avvicinando a me, ed io caddi in ginocchio e mi sorpresi a singhiozzare: ero terrorizzato. Mi coprii il volto con le mani. Credevo di morire. - Ragazzo, - la sua voce ruppe il silenzio. La riconobbi.
Misi a fuoco la sagoma ancora parzialmente avvolta nell’oscurità e improvvisamente si materializzò, illuminato dalla fioca luce di una candela, un uomo con una lunga tonaca, il viso sottile e allungato, un paio di baffi ben curati e un’improbabile barba a punta.
- Lo senti anche tu? - disse.
Singhiozzai qualcosa.
- Lo avverti anche tu il cambiamento? È nell’aria, tutto intorno a noi. La porta è stata aperta. Non c’è tempo da perdere.
Notai il manoscritto nella sua mano destra.
- Questo libro, - disse sollevandolo di fronte a me, - dovrà tornare da dove è venuto, ed io mi accerterò che sia così.
Rimasi in silenzio, indeciso sul significato di quelle parole. La figura di fronte a me stette a sua volta in silenzio e, per un numero interminabile di secondi, il tempo mi sembrò sospeso. Tutto il mondo attorno a me sembrava essersi fermato nell’attesa di un mio cenno, una risposta, una fuga, qualunque cosa. Rimasi tuttavia immobile, completamente impotente.
- Tu hai avuto modo di curiosare in queste pagine, vero? Non mentire, ragazzo, te lo leggo negli occhi.
Abbozzai un cenno di assenso con il capo, ma egli parve non accorgersene e proseguì:
- Qualunque cosa tu abbia visto sfogliando questo libro, per carità di Dio, dimenticalo. Smetti di venire qui a curiosare. Smetti di tormentarti. Queste pagine maledette non appartengono a questo mondo. Se si trovano qui è a causa mia, della mia inettitudine, e adesso che finalmente ne ho compreso il significato, sento che dovrò essere io e soltanto io a pagarne il prezzo.
Lo osservai incuriosito. Avevo forse a che fare con un pazzo? Magari un pazzo pericoloso? Mi guardai rapidamente attorno. Eravamo soli, io e lui. Nessuna via di fuga. Nella peggiore delle ipotesi non avrei avuto altra scelta che difendermi con la forza.
- Il mio nome è Kukulkàn - disse rompendo nuovamente il silenzio - e ho trascorso tutta la vita ad inseguire i fantasmi dei miei antenati, un popolo che viveva oltre le montagne, un popolo fiero e generoso che fu spazzato via dall’arrivo di coloro che scrissero questo libro molti secoli orsono. La tradizione vuole che il mio popolo fu annientato dai conquistadores spagnoli di Hernán Cortés, avidi delle loro ricchezze, ma la verità è un’altra ed è testimoniata da queste pagine. È una verità che non posso permettere venga rivelata, una verità che, se inseguita da individui senza morale, potrebbe portare alla fine del mondo così come lo conosciamo adesso.
Adesso finalmente conoscevo il suo nome. Nemmeno per un momento ebbi la sensazione che quell’uomo, Kukulkàn (ma che razza di nome), mi stesse mentendo. Anche se pazzo (un’ipotesi che non avevo ancora scartato), non credevo potesse essere ostile nei miei confronti.
- Ma prima di tutto è necessario che la porta venga chiusa, che il varco tra questo e quel mondo abominevole sia dimenticato per sempre, e soprattutto che questo… - qui ebbe un attimo di esitazione - questo… libro, unica testimonianza di quegli antichi predatori, rimanga dall’altra parte.
Improvvisamente, al suono di quelle ennesime folli parole, mi armai di tutto il coraggio che avevo e replicai, cercando di sottolineare con il tono della voce il mio fastidio.
- Eh no, calma. Adesso basta! Quale porta? Quali predatori? Quali pericoli? Che diavolo è quel libro? Come può rovesciarmi addosso una montagna di mezze frasi, di cose dette a metà, e allo stesso tempo chiedermi di non essere curioso, anzi, di dimenticare al più presto quello strano libro? Se prima la mia curiosità era solo abbozzata, beh… adesso sono MALEDETTAMENTE curioso! Voglio, pretendo, esigo delle spiegazioni!
Stette in silenzio per diversi minuti, durante i quali la mia rabbia fece in tempo a sbollire fintanto che quasi mi pentii di aver alzato la voce in quel modo. Mi osservava inclinando il capo prima a destra, poi a sinistra. Con l’indice e i pollice della mano destra prese a tormentarsi quegli insopportabili baffi, come se stesse valutando pro e contro. Dopodiché, mantenendo un tono di voce apparentemente calmo e rilassato disse:
- Così sia, allora. Avrai le tue risposte. Tutto sommato nessuno mai ti crederà, una volta che tutto questo sarà finito. - Per un attimo mi chiesi se le parole che avevo udito erano davvero quelle che in cuor mio avevo sperato.
- Adesso, però, vai a farti qualche ora di sonno. Domattina presto, alle sette in punto, fatti trovare nella piazza qui di fronte. Sii puntuale, perché la corriera non ti aspetterà. E nemmeno io.
- La corriera? E per dove? - chiesi.
- Palenque, ragazzo mio, Palenque!
By Obsidian M. (giovedì prossimo la terza puntata)
Mi diressi quasi di corsa verso il mio solito scaffale. Da lontano avevo già notato che l’ampio spazio vuoto orfano dal manoscritto mancante la sera prima non era affatto vuoto. Dentro di me però sapevo che qualcosa non andava, c’era qualcosa di profondamente sbagliato. Alzai lo sguardo verso lo scaffale: quello che vidi erano solo vecchi testi latini. Guardai a destra, guardai a sinistra, cercai poi in tutta la biblioteca, ma di quel libro non c’era alcuna traccia. Credo che fu in quel momento che persi i sensi. Quando mi svegliai era ormai notte inoltrata. Ero immerso nelle tenebre, dimenticato all’interno della biblioteca oltre l’orario di chiusura. A tentoni cercai di avvicinarmi all’ingresso. Il mio respiro diventava istante dopo istante sempre più affannoso. Fu in quel momento che sentii un rumore alle mie spalle. Nell’oscurità una candela si accese. Una figura diabolica si stava avvicinando a me, ed io caddi in ginocchio e mi sorpresi a singhiozzare: ero terrorizzato. Mi coprii il volto con le mani. Credevo di morire. - Ragazzo, - la sua voce ruppe il silenzio. La riconobbi.
Misi a fuoco la sagoma ancora parzialmente avvolta nell’oscurità e improvvisamente si materializzò, illuminato dalla fioca luce di una candela, un uomo con una lunga tonaca, il viso sottile e allungato, un paio di baffi ben curati e un’improbabile barba a punta.
- Lo senti anche tu? - disse.
Singhiozzai qualcosa.
- Lo avverti anche tu il cambiamento? È nell’aria, tutto intorno a noi. La porta è stata aperta. Non c’è tempo da perdere.
Notai il manoscritto nella sua mano destra.
- Questo libro, - disse sollevandolo di fronte a me, - dovrà tornare da dove è venuto, ed io mi accerterò che sia così.
Rimasi in silenzio, indeciso sul significato di quelle parole. La figura di fronte a me stette a sua volta in silenzio e, per un numero interminabile di secondi, il tempo mi sembrò sospeso. Tutto il mondo attorno a me sembrava essersi fermato nell’attesa di un mio cenno, una risposta, una fuga, qualunque cosa. Rimasi tuttavia immobile, completamente impotente.
- Tu hai avuto modo di curiosare in queste pagine, vero? Non mentire, ragazzo, te lo leggo negli occhi.
Abbozzai un cenno di assenso con il capo, ma egli parve non accorgersene e proseguì:
- Qualunque cosa tu abbia visto sfogliando questo libro, per carità di Dio, dimenticalo. Smetti di venire qui a curiosare. Smetti di tormentarti. Queste pagine maledette non appartengono a questo mondo. Se si trovano qui è a causa mia, della mia inettitudine, e adesso che finalmente ne ho compreso il significato, sento che dovrò essere io e soltanto io a pagarne il prezzo.
Lo osservai incuriosito. Avevo forse a che fare con un pazzo? Magari un pazzo pericoloso? Mi guardai rapidamente attorno. Eravamo soli, io e lui. Nessuna via di fuga. Nella peggiore delle ipotesi non avrei avuto altra scelta che difendermi con la forza.
- Il mio nome è Kukulkàn - disse rompendo nuovamente il silenzio - e ho trascorso tutta la vita ad inseguire i fantasmi dei miei antenati, un popolo che viveva oltre le montagne, un popolo fiero e generoso che fu spazzato via dall’arrivo di coloro che scrissero questo libro molti secoli orsono. La tradizione vuole che il mio popolo fu annientato dai conquistadores spagnoli di Hernán Cortés, avidi delle loro ricchezze, ma la verità è un’altra ed è testimoniata da queste pagine. È una verità che non posso permettere venga rivelata, una verità che, se inseguita da individui senza morale, potrebbe portare alla fine del mondo così come lo conosciamo adesso.
Adesso finalmente conoscevo il suo nome. Nemmeno per un momento ebbi la sensazione che quell’uomo, Kukulkàn (ma che razza di nome), mi stesse mentendo. Anche se pazzo (un’ipotesi che non avevo ancora scartato), non credevo potesse essere ostile nei miei confronti.
- Ma prima di tutto è necessario che la porta venga chiusa, che il varco tra questo e quel mondo abominevole sia dimenticato per sempre, e soprattutto che questo… - qui ebbe un attimo di esitazione - questo… libro, unica testimonianza di quegli antichi predatori, rimanga dall’altra parte.
Improvvisamente, al suono di quelle ennesime folli parole, mi armai di tutto il coraggio che avevo e replicai, cercando di sottolineare con il tono della voce il mio fastidio.
- Eh no, calma. Adesso basta! Quale porta? Quali predatori? Quali pericoli? Che diavolo è quel libro? Come può rovesciarmi addosso una montagna di mezze frasi, di cose dette a metà, e allo stesso tempo chiedermi di non essere curioso, anzi, di dimenticare al più presto quello strano libro? Se prima la mia curiosità era solo abbozzata, beh… adesso sono MALEDETTAMENTE curioso! Voglio, pretendo, esigo delle spiegazioni!
Stette in silenzio per diversi minuti, durante i quali la mia rabbia fece in tempo a sbollire fintanto che quasi mi pentii di aver alzato la voce in quel modo. Mi osservava inclinando il capo prima a destra, poi a sinistra. Con l’indice e i pollice della mano destra prese a tormentarsi quegli insopportabili baffi, come se stesse valutando pro e contro. Dopodiché, mantenendo un tono di voce apparentemente calmo e rilassato disse:
- Così sia, allora. Avrai le tue risposte. Tutto sommato nessuno mai ti crederà, una volta che tutto questo sarà finito. - Per un attimo mi chiesi se le parole che avevo udito erano davvero quelle che in cuor mio avevo sperato.
- Adesso, però, vai a farti qualche ora di sonno. Domattina presto, alle sette in punto, fatti trovare nella piazza qui di fronte. Sii puntuale, perché la corriera non ti aspetterà. E nemmeno io.
- La corriera? E per dove? - chiesi.
- Palenque, ragazzo mio, Palenque!
By Obsidian M. (giovedì prossimo la terza puntata)
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